Libia | L’incerta battaglia di Sirte

di Pier Maria Mazzola

Nell’incerta battaglia di Sirte – città ieri in buona parte occupata dalle forze di Haftar, oggi (per il momento) a quanto pare di nuovo in mano ad al-Sarraj – almeno una cosa è certa: la Libia è ora più che mai un ginepraio bellico in cui i protagonisti sul terreno non hanno la minima intenzione di arretrare, e neppure di incontrarsi per dei colloqui, e in cui gli attori esterni sono sempre più numerosi e interessati. Se Italia e Ue paiono ormai scivolati tra le file degli spettatori, complice anche il prolungato interregno tra le due Commissioni e i ripiegamenti dei diversi Paesi sulle proprie faccende interne, ad Arabia Saudita, Emirati Arabi ed Egitto (che stanno con Haftar) e al Qatar (schierato con Serraj) si sono ultimamente aggiunte due potenze almeno in parte extraregionali: Russia e Turchia. Quest’ultima ufficializzando il suo aperto sostegno militare a Tripoli (la capitale di Sarraj), pochi giorni fa, con l’approvazione di una mozione di Erdogan da parte del Parlamento di Ankara.

Ma la riconquista di Sirte, vedremo quanto duratura (il portavoce di Mosca, alleata di Haftar, ha ammesso il buon esito della reazione di Tripoli ma anche ipotizzato che le cose «possano cambiare», e in effetti l’esercito di Haftar sarebbe ora a cento chilometri da Misurata), è comunque avvenuta senza l’intervento turco: non ce ne sarebbe stato il tempo. Sono state sufficienti le forze speciali tripolitane che tre anni fa avevano cacciato l’Isis dalla stessa Sirte. Ieri, peraltro, l’entrata degli armati di Haftar nella città al centro del litorale libico sarebbe stata resa possibile dal “tradimento” dei Makhdali, un locale e combattivo gruppo armato clanico.

Questo, mentre ad Algeri ieri il neopresidente Abdelmadjid Tebboune riceveva tanto al-Sarraj quanto il ministro degli Esteri turco, Mevut Cavusoglu. Nella stessa giornata, il capo dello Stato algerino ha avuto anche un colloquio telefonico con Angela Merkel, che l’ha invitato a una prevista conferenza di Berlino sulla Libia, in data ancora da stabilirsi. L’Algeria, del resto, non dimentica di condividere una «linea rossa» di mille chilometri di frontiera con la Libia.

Oltre agli aspetti militari, politici, geostrategici e diplomatici ci sono naturalmente, e fondamentalmente, quelli economici. Oltre al petrolio – proprio nel bacino di Sirte si trovano le maggiori riserve libiche di oro nero –, c’è il gas. È questo, secondo molti osservatori come Arturto Varvelli per l’Ispi di Milano, ad aver fatto scendere in campo Ankara, decisa a rispondere al progetto di gasdotto EastMed di Egitto, Israele, Cipro e Grecia, che vede coinvolte in prospettiva anche Giordania e Italia, e «che quindi taglierebbe fuori la Turchia». Domani, 8 gennaio, Putin ed Erdogan, che sostengono le principali fazioni libiche nemiche, sottoscriveranno il progetto TurkStream, concorrente di EastMed. «E se un giorno – si chiede Giorgio Ferrari su Avvenire – fossimo costretti a comprare gas libico da Erdogan?».
La Libia è insomma un vero rompicapo, dove la verità non è sempre dove si crede di vederla.

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