Le rotte africane della cocaina

di claudia
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Di Carmen ForlenzaCentro studi AMIStaDeS

Dall’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine emerge una crescita del traffico di cocaina nel continente africano, in particolare sulle coste occidentali. L’Africa diventa anche un nuovo mercato per il consumo, controllato dalla mafia nigeriana che ne gestisce l’arrivo e la distribuzione nel continente ed il trasporto verso i mercati tradizionali europei, soprattutto attraverso Paesi caratterizzati da fragilità strutturali e un’alta corruzione come la Guinea Bissau.

Dopo una fase di decrescita dei traffici di droga dall’America latina verso l’Africa a causa della pandemia Covid, i flussi sono ripresi e cresciuti esponenzialmente. Se la Colombia rimane il principale produttore di cocaina a livello mondiale, il Brasile costituisce il più importante hub di partenza della merce.

Dal Brasile partono tradizionalmente carichi di cocaina diretti negli Stati Uniti o in Europa, ma negli ultimi anni le rotte via mare o aeree per l’Africa stanno guadagnando terreno. I carichi marittimi hanno come destinazione le coste o le isole dell’Africa occidentale come Capo Verde o le Bijagos, che appartengono alla Guinea-Bissau, ma anche il Sudafrica e i porti mozambicani. Il traffico aereo ha invece come destinazioni principali gli aeroporti di Addis Abeba e Nairobi, entrambi con molti collegamenti sia con l’Europa sia con l’Asia.

L’ultimo report sulla cocaina dell’UNODC, pubblicato a marzo di quest’anno, sottolinea il ruolo crescente dell’Africa occidentale e centrale come zone di transito di questo stupefacente nel suo percorso verso i mercati europei, che è cresciuto notevolmente a partire dal 2019.

Tra il 2019 e il 2021 sono stati sequestrati tredici carichi di cocaina di almeno 100 kg sulle coste del Golfo di Guinea, sulla quale si affacciano ben dieci Paesi. Secondo l’UNODC i sequestri di cocaina sono aumentati del 400% dal 2016. Già nel 2017 un’inchiesta del giornale colombiano El Tiempo riportava che circa un terzo della cocaina che lasciava annualmente il Paese arrivava sulle coste africane, prima di essere venduta in Europa ai consumatori.

Secondo il World Drug Report dell’UNODC del 2022, il 90% della cocaina sequestrata su rotte marittime era diretta o era arrivata in un porto dell’Africa Occidentale, con una quantità stimata di 57 tonnellate di cocaina tra il 2019 e il 2022.

Se le spedizioni dal Brasile sono operate principalmente dal Primeiro Comando da Capital o PCC, il principale attore africano del traffico di cocaina è la criminalità nigeriana, di solito organizzata in piccoli gruppi di 4 o 5 persone, che trasportano agilmente via aerea o terrestre la merce anche verso Paesi come il Sudafrica e l’Angola, il Ghana e il Benin, oltre che in Europa. Spesso questi gruppi possono contare sul supporto della diaspora nigeriana sul territorio.

Ogni membro del gruppo ha collaboratori sul campo che non hanno relazioni con gli altri componenti del gruppo di livello superiore, e questo rende più difficile perseguirne i membri e rende la struttura più flessibile e sfuggevole di fronte a indagini ed arresti.

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La mafia nigeriana e il consumo domestico

I gruppi nigeriani fanno anche largo uso di muli della droga su voli passeggeri dal Brasile. Già dal 2019 il maggior numero di stranieri arrestati negli aeroporti brasiliani per spaccio di droga è costituito da nigeriani.

Tuttavia, gruppi nigeriani organizzano anche “invii” dal Brasile all’Europa operati da cittadini venezuelani, ripetendo pratiche comuni tra gruppi criminali colombiani e brasiliani. L’arresto nel 2020 di due cittadini venezuelani a Parigi ha svelato una rete di narcotraffico controllata da gruppi nigeriani che utilizzavano venezuelani, spinti dalle difficoltà economiche e dalla promessa di raggiungere facilmente l’Europa.

Da alcune indagini risulta che membri di una piccola comunità nigeriana a Caracas hanno avvicinato diversi frequentatori di chiese evangeliche, che offrono a persone in difficoltà pasti caldi un giorno alla settimana. Non si sono registrate collusioni con i ministri delle suddette chiese, ma si evidenzia la ricerca di venezuelani in condizioni di povertà, cercando potenziali muli.

Un’altra traccia della connessione tra gruppi criminali brasiliani e nigeriani è stata lasciata dall’arresto, nell’aprile del 2020 in Mozambico, , di uno dei leader del Primiro Comando da Capital. Si tratta di Gilberto Aparecido Dos Santos, soprannominato “Fuminho”, arrestato mentre era alla ricerca di contatti e alleanze nel Paese dell’Africa orientale.

Sulle vie marittime la criminalità nigeriana impiega una varietà di imbarcazioni, dagli yacht ai pescherecci, da motoscafi a traghetti. Via mare si fa spesso uso di uno ship-to-ship transfer, con vari passaggi a staffetta verso la destinazione finale.

Il consumo interno di cocaina in Africa, anche se non comparabile con il consumo in Europa o negli Stati Uniti, sta crescendo: secondo i pochi dati disponibili è già molto superiore al consumo pro-capite di cocaina in Asia. Infatti, in Africa l’incidenza del consumo di cocaina è pari allo 0,27% mentre in Asia è uguale allo 0,07%. Secondo l’UNODC in generale il consumo di droghe in Africa riguarda principalmente uomini al di sotto dei 35 anni.

Soprattutto in alcune aree dell’Africa orientale e meridionale si osserva una transizione dal consumo di cannabis alla cocaina, in Paesi in cui non esistono strutture di recupero capaci di sostenere chi soffre di dipendenze nel proprio percorso di riabilitazione.

Il caso della Guinea Bissau

Tre elementi hanno favorito il coinvolgimento dell’Africa occidentale nei grandi traffici di cocaina: la posizione geografica ideale di passaggio centrale nelle rotte tra l’America Latina e l’Europa, un’incapacità di diversi Stati dell’area di operare un controllo efficace sul loro territorio e sulle loro coste, la scarsa capacità degli stessi di far applicare le leggi e un alto livello di corruzione che facilita l’impunità degli operatori criminali.

Tra questo gruppo di Stati un caso emblematico è quello della Guinea-Bissau, che sin dagli anni 2000 è diventata una meta centrale per il narcotraffico, grazie alla mancanza di una guardia costiera, nonostante una moltitudine di 88 isole faccia parte del Paese, un contesto post-bellico e un susseguirsi di colpi di stato e instabilità politica cronica, e soprattutto una “porosità” fino alla collusione tra politica e trafficanti, che ha spinto l’ONU a definirla un “narcostato”.

La definizione di narcostato indica una struttura statale così debole da lasciare impunito qualsiasi crimine legato al traffico di droga, uno Stato controllato e corrotto a tutti i livelli dai cartelli della droga, con una applicazione inesistente delle leggi di contrasto al traffico.

Già nel 2013 l’ex capo della marina Bubo Na Tchuto, e l’allora capo delle forze armate Antonio Indjai furono arrestati per narcotraffico in seguito a indagini della DEA, l’agenzia federale antidroga statunitense. Quest’ultimo inoltre è stato accusato di aver fornito armi alle FARC colombiane.

Attori fondamentali per la creazione di questo stato di cose sono stati uomini d’affari locali con anni di esperienza in Europa, dove avevano potuto creare connessioni con il traffico di droga. Esemplare è il caso di Braima Seidi Bá, che dopo aver vissuto per anni in Spagna e Portogallo, è stato condannato in contumacia da una corte della Guinea-Bissau nel 2020 e fuggito dal Paese. La sua condanna è stata però ribaltata nel 2022.

Il tentativo di colpo di stato, con uno scontro a fuoco di cinque ore nella sede del palazzo presidenziale, per deporre l’attuale presidente Umaro Sissoko Embalò nel febbraio 2022 ha riportato di nuovo nella stampa internazionale la Guinea Bissau e il narcotraffico. Il presidente, infatti, ha parlato di un attacco legato al traffico di droga e ha reso pubblico che tre persone collegate all’azione erano stati precedentemente arrestati dalla DEA.

Embalò ha sostenuto che sarebbe stato attaccato proprio per i suoi sforzi contro il narcotraffico, anche se diversi analisti mettono in dubbio la diminuzione dei flussi sotto il suo mandato e la Guinea-Bissau e la sua classe politica continuerebbero a rivestire un ruolo centrale nell’importazione di cocaina nel continente.

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