La morsa jihadista intorno alla capitale della Nigeria

di Marco Trovato
Gli analisti vedono l’attacco alla prigione di Kuje, lo scorso 5 luglio, come un segno della crescente capacità dei terroristi di minacciare regioni diverse dalla loro roccaforte a nord-est, epicentro dell’insurrezione armata che dura da oltre 13 anni e che ha provocato 40 mila morti e 2,2 milioni di sfollati. La città di Abuja, centro nevralgico e simbolo del potere politico, sarebbe finita nel mirino dei jihadisti

di Angelo Ferrari – Agi

Si stringe la morsa jihadista intorno alla capitale della Nigeria, Abuja. Il recente attacco – in grande stile – a una prigione vicino alla città e rivendicato dal gruppo dello Stato Islamico è un “crudele” promemoria per le autorità del paese della crescente minaccia dei jihadisti. La notizia non ha suscitato grande scalpore internazionale, ma la sera del 5 luglio più di cento uomini armati hanno fatto irruzione nella prigione di Kuje, alla periferia di Abuja, usando esplosivi per liberare centinaia di detenuti – la maggior parte dei quali ricatturati dalle forze di polizia – tra cui 70 jihadisti.

La polizia, che sta ancora cercando i fuggitivi, ha reso noto le foto dei jihadisti fuggiti durante l’assalto. L’attacco alla prigione di Kuje, oltre a rappresentare un grave “imbarazzo” per le autorità, con importanti implicazioni sul piano della sicurezza, mette a nudo le falle proprio intorno alla capitale, che dovrebbe essere il luogo più controllato del paese. Molti dei fuggitivi, infatti, sono militanti di alto rango e l’assalto alla prigione darà ai terroristi un enorme impulso psicologico e li incoraggerà a mettere in atto altre azioni di questo tipo.

Questo attacco non è avvenuto in una cittadina isolata nel nord-est della Nigeria – teatro delle operazioni dei jihadisti – ma a soli 20 chilometri dall’aeroporto internazionale di Abuja e a 40 chilometri dalla residenza presidenziale. Dunque, a centinaia di chilometri da dove generalmente operano i gruppi terroristici. Gli analisti vedono l’attacco come un segno della crescente capacità dei jihadisti di minacciare regioni diverse dalla loro roccaforte a nord-est, epicentro dell’insurrezione armata che dura da oltre 13 anni e che ha provocato 40mila morti e 2,2 milioni di sfollati.

“L’attacco di Kuje, rivendicato da Iswap (Stato islamico in Africa occidentale), rappresenta un fallimento monumentale nella raccolta di informazioni”, sostiene la società di consulenza nigeriana Sbm Intelligence, con una nota. L’Iswap “manda un chiaro messaggio: possiamo colpire Abuja ogni volta che vogliamo”. E rappresenta il fallimento dei servizi di intelligence e di sicurezza nigeriani.

Durante una breve visita nella regione di Kuje, la scorsa settimana, il presidente Muhammadu Buhari, ha chiesto come fosse potuto accadere un simile attacco. L’ex generale conclude il suo secondo mandato alla presidenza, sotto il fuoco delle critiche a causa delle violenze diffuse nel suo paese. La sicurezza, inoltre, sarà una questione cruciale nelle elezioni presidenziali del febbraio 2023, dove Buhari non potrà candidarsi perché ha già svolto due mandati, perché è anziano – 79 anni – e perché la salute è cagionevole.

All’inizio del suo mandato, Buhari ha promesso che avrebbe sconfitto Boko Haram e il terrorismo, combattuto la corruzione e ridotto la povertà: tutti gli obiettivi sono stati mancati e la povertà, se possibile, è aumentata. Oltre il 50% di nigeriani vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno. Si stima che altri 20 milioni di nigeriani saranno considerati in povertà entro il 2022, andando ad aggiungersi agli 83 milioni registrati nel 2029, metà della popolazione.

boko haram

Il giorno dell’attacco alla prigione di Kuje, i residenti hanno riferito di aver sentito forti esplosioni e spari dopo le 10 di sera. Secondo le autorità carcerarie, gli assalitori hanno sparato sulle guardie mentre altri hanno liberato i detenuti e dato alle fiamme i veicoli fuori dalla prigione. Il presidente del Senato, Ahmad Lawan, ha stigmatizzato l’attacco come “sintomatico del fallimento della sicurezza”.

L’ultimo grande attacco ad Abuja è avvenuto nel 2014, quando 21 persone hanno perso la vita dopo un attentato dinamitardo in un centro commerciale. Due mesi prima, un altro attentato, questa volta alla stazione degli autobus, aveva provocato la morte di 80 persone. Nel 2015, quando Buhari è stato eletto presidente, il gruppo jihadista Boko Haram controllava vaste aeree dello stato del Borno (nord-est), ma le truppe nigeriane e ciadiane sono riuscite ad arginare l’espansione del gruppo ricacciandolo nelle foreste. In seguito, infatti, Iswap si è separato da Boko Haram e le due realtà hanno combattuto una guerra interna che ha portato alla morte, l’anno scorso, del famigerato leader di Boko Haram, Abubakar Shekau.

Da allora, la minaccia jihadista si è evoluta. Per la prima volta dalla sua formazione nel 2016, Iswap ha compiuto attentati nel 2022 negli stati di Taraba (est), Kogi e Niger (centro), oltre che Abuja. Questo gruppo, dopo la morte di Shekau, è diventato dominante nella galassia jihadista. E come se non bastasse, alla penetrazione jihadista si aggiungono bande criminali pesantemente armate che attaccano, molto frequentemente, villaggi, rapiscono e uccidono molti abitanti del nord-est e del centro del paese. Abuja – circondata da stati come quelli del Niger e di Kogi dove sono frequenti gli attacchi terroristici – è diventata un bersaglio non più irraggiungibile per i jihadisti.

Angelo Ferrari – Agi

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