Il principio del velo e la verginità

di Pier Maria Mazzola
velo-islamico

Ricostruire chirurgicamente l’imene è lecito? Ignazio De Francesco rende conto del dibattito intra-islamico, in cui si registrano tre posizioni, da quella più intransigente a una più conciliante – comune a tutte è la proibizione dei rapporti prematrimoniali. Domanda non oziosa, data la crescente richiesta di questo tipo di intervento plastico.

Durante gli anni trascorsi a Damasco non di rado ho avuto occasione di cogliere, nelle chiacchiere all’università e tra i tavoli dei caffè della città vecchia, accenni a quegli ambulatori privati dove si pratica l’imenoplastica. Si tratta di un tema oggi assai dibattuto, anche nella comunicazione di massa, e che tocca una dimensione cruciale del sistema etico/giuridico islamico: la proibizione dei rapporti prematrimoniali.

Il corpo e la norma

Entrambi i sessi sono inclusi in questo divieto, la cui violazione fa parte dei “reati capitali” (hudud) dell’islam e punita (ove vige la shari‘a) con la fustigazione (lapidazione in caso di coniugati). La parità tra i sessi è in qualche modo alterata dal fatto che la donna, a differenza dell’uomo, è provvista di un organo che segnala il suo stato verginale. Questo dato fisiologico può essere teologicamente letto come una specifica provvidenza divina, un sigillo creaturale apposto da Dio (se c’è) alle parti intime della donna, come garanzia della sua purezza inviolata sino al talamo nuziale, unico luogo dove le sarà lecito esercitare la propria sessualità.

Così non è raro incontrare, nel mondo arabo, riti popolari che ribadiscono l’idea del sigillo: una mediatrice culturale di origine algerina, etnia berbera, oggi cittadina italiana, mi racconta della riunione delle donne di famiglia, al suo ingresso nella pubertà: una zia portò una serratura e la chiuse a chiave, pronunciando alcune invocazioni, poi la ripose in luogo custodito. Alla vigilia del suo matrimonio la serratura ricomparve d’incanto e venne aperta.

La pressione sociale su questo tema rimane molto alta, e interessa anche il fenomeno migratorio, con l’accesso di giovani musulmane a livelli superiori d’istruzione, in Europa o in America: non è raro sentire che, al ritorno ai Paesi natii dopo un periodo di studio all’estero, le famiglie spingano per una visita di “verifica” dal ginecologo.

È in questo quadro che s’inserisce la richiesta crescente di interventi di imenoplastica, registrata anche nei Paesi di emigrazione, come la Gran Bretagna, fenomeno che solleva dubbi di coscienza non lievi tra i medici europei, sia per i rischi per la salute che questo tipo d’interventi comportano sia per la discriminazione di genere che essi sottendono. I colleghi musulmani possono nutrire analoghi dubbi, ma di segno opposto: ricostruire artificialmente la condizione di verginità non è forse complicità in una frode, l’illecita copertura di un peccato?

Le posizioni

Nel dibattito intra-islamico si registrano tre posizioni: quella intransigente, rappresentata da giuristi come Salih Fawzan, per il quale questo tipo di chirurgia va proibita in modo assoluto e senza eccezioni, perché contribuisce alla diffusione del malcostume sessuale.

La posizione mediana, che si può dire oggi prevalente, è contenuta nella dichiarazione sulla chirurgia estetica pronunciata nel 2007 dalla prestigiosa Accademia internazionale della giurisprudenza islamica, con sede a Gedda: «È consentito ripristinare l’imene strappato per un incidente, o stupro, o costrizione, mentre non è consentito se si è perpetrata fornicazione, sbarrando la strada al pretesto per la corruzione e la frode» (n. 5).

In questa linea, tra i siti giurisprudenziali più visitati in Occidente (Islamweb, piattaforma gestita dal ministero degli Affari religiosi del Qatar) si può leggere la fatwā emessa su richiesta di una donna di 25 anni che racconta il percorso di ritorno alla religione (particolarmente sottolineato è l’impegno nel culto) nel quale vorrebbe inserire l’imenoplastica, come sigillo di onorabilità per la costruzione di una buona famiglia.

Dopo aver ripetuto gli inviti alla penitenza, nel timore dell’eterna dannazione, la risposta sul punto specifico è la seguente: «Per quanto riguarda la ricostruzione del tuo imene per diventare di nuovo vergine, questo è illegale perché sarebbe ingannare il marito, come affermato dagli studiosi musulmani, se sei stata deflorata da un atto illegale, cioè zina. Ti consigliamo di volgerti di nuovo ad Allah e di cercarti un marito buono. Dovresti parlargli apertamente e rivelargli la questione, dicendogli allo stesso tempo che ti sei pentita e dimostrarlo compiendo solo buone azioni. Un marito buono non ti punirà per il tuo passato». 

La posizione più aperta è quella di Ali Gumaa, una delle più prestigiose figure dell’islam sunnita, che in una fatwa pronunciata nel 2003 si espresse a favore dell’imenoplastica come applicazione particolare del principio del “velo” (sitr), che impone alla comunità di mantenere occulte le trasgressioni segrete dei propri membri, come via di tutela della pace sociale.

La trasgressione va punita soltanto quando è manifesta. Questo il passaggio cruciale della fatwā in questione: “È concesso alla donna riparare l’imene per stornare il danno che ne conseguirebbe, così come è concesso al medico di farlo anche dietro compenso, mentre non è concesso se la sua fornicazione è di pubblico dominio – Dio ce ne guardi – o sia stata punita per questo». Ciò che ha colpito e diviso l’opinione pubblica, nelle dichiarazioni successive del grande shaykh egiziano, è l’ampiezza del permesso dato, oltrepassando il limite della perdita della verginità per cause accidentali o violenza subita contro la propria volontà.

In una celebre intervista concessa al secondo canale della televisione egiziana nel 2007, ha così precisato: «La religione islamica invita al “velo”, e nel caso in cui l’imenoplastica di una ragazza che ha perso la sua verginità per qualsiasi ragione conduce a velare “la sua situazione”, l’islam lo consente… Quella ragazza non deve informare il suo fidanzato di avere perduto la sua verginità, così come il principio si applica all’adultera, alla quale non è concesso informare suo marito di avere commesso il delitto di fornicazione».

Controllo del corpo

Thomas Eich, che ha lavorato sulle reazioni alla fatwā di Ali Gumaa, vi ha visto una conferma del tratto patriarcale e di controllo della donna, all’interno di schemi religioso/culturali che non si modificano. Questa è la valutazione di un osservatore esterno. Rimanendo all’interno del discorso islamico, nelle due posizioni si può ricavare una diversa concezione di ciò che etico: per la posizione “intransigente” (ammorbidita da chi tiene in considerazione l’accidentalità/involontarietà della perdita della verginità) l’imenoplastica è immorale, perché si configura come una forma di ghisstadlis, l’imbroglio e la frode.

Secondo l’orientamento “conciliante”, l’imenoplastica è al contrario un mezzo di tutela non solo della morale individuale ma anche di quella pubblica, che deve essere messa quanto più possibile al riparo dalla diffusione dello “scandalo” e dei “cattivi esempi”. Si tratta di un’applicazione del principio del velo (sitr), cardine dell’intero sistema etico/giuridico islamico: la comunità non deve spiare i suoi membri né mettere alla luce i loro comportamenti segreti, ma accontentarsi che ciò che appare oltre il velo sia conforme alle sacre norme.


Alcuni materiali usati:

  • Dialmy-A. Uhlmann, “Sexuality in Contemporary Arab Society”, in Social Analysis: The International Journal of Anthropology49(2005).
  • Eich, “A tiny membrane defending ‘us’ against ‘them’: Arabic Internet debate about hymenorraphy in Sunni Islamic law”, in Culture, Health & Sexuality12 (2010)
  • Al-Fawzān, al-Jiraha al-tajmiliyya, Dar al-Tadmuriyya, Riad 1429/2008, 611-613.

In arabo:

Ignazio De Francesco per SettimanaNews

L’autore di questo articolo è monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, la comunità fondata da Giuseppe Dossetti. Si occupa di letteratura cristiana antica in lingua siriaca e di fonti islamiche dell’epoca classica. Collabora con il Gruppo Islam dell’Ufficio nazionale ecumenismo e dialogo interreligioso-Cei ed è delegato per il dialogo della Chiesa di Bologna. Nel 2013 ha conseguito il dottorato presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica (Pisai) di Roma. La sua tesi è stata pubblicata l’anno seguente con il titolo Il lato segreto delle azioni. La dottrina dell’intenzione nella formazione dell’islam come sistema di religione, etica e diritto. La sua esperienza con i detenuti musulmani è invece descritta in Leila della tempesta (2016), opera che circola anche come pièce teatrale. [Dal sito della Fondazione Oasis di Milano per il dialogo islamo-cristiano].

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