Il lungo viaggio del karité

di claudia

di Federico Monica

Dalle savane d’Africa all’industria cosmetica mondiale, vi sveliamo i segreti di un burro prodigioso. Il karité domina le pubblicità e le etichette di creme per la cura del corpo, ma i suoi utilizzi in Africa sono molteplici, non solo legati alla cosmesi. Siamo andati in Ghana per documentare come nasce questo burro sorprendente che crea lavoro femminile e contribuisce a proteggere l’ambiente

Un gruppo di donne dalle vesti colorate è seduto su stuoie vivaci disposte intorno a un albero. Ognuna ha al suo fianco un grande recipiente in alluminio pieno di una densa poltiglia marrone scuro che rimescola con gesti che sembrano richiamare antichissimi rituali. Braccia esili di giovani ragazze appena adolescenti e polsi rugosi di anziane si muovono all’unisono quasi accarezzando la melassa bruna con gesti circolari per poi scattare in un colpo improvviso, quasi uno schiaffo che fa tremare l’intero contenuto della tinozza. Difficile da credere, ma quel fluido dal colore e consistenza del fango diventerà, dopo un lungo processo di raffinazione, una sostanza bianca opalina ricercatissima e ormai diffusa in tutto il mondo: il burro di karité.

Prodotto della savana

Siamo a Nyankpala, un villaggio sulla strada che collega Tolon a Tamale, nel nord del Ghana, una delle regioni in cui la produzione dello shea butter, termine inglese con cui si indica il karité, è maggiormente diffusa. Come spesso accade, è proprio il nome del prodotto a raccontare al meglio le sue origini: si ritiene che il vocabolo inglese shea derivi dal termine bambara shìs, mentre in lingua wolof le noci e il relativo burro sono chiamate kharitì, da cui il francese karité. La cosiddetta Shea Belt, il territorio del karité, si estende infatti nelle zone di savana a sud del Sahara, dall’entroterra del Senegal al nord del Camerun, con punte in Centrafrica e in Ciad, ma il grosso della produzione è concentrato fra Mali, Burkina Faso, Ghana e Nigeria.

Da almeno una decina d’anni il karité domina le pubblicità e le etichette di creme e prodotti per la cura del corpo, ma i suoi utilizzi in queste zone sono molteplici e non per forza legati alla produzione di cosmetici: il burro è infatti impiegato per realizzare candele, medicamenti, saponi, ma prima di tutto come alimento. Si tratta di un’ottima soluzione per friggere, economica e nutriente; il sapore che il karité trasmette alle pietanze, poi, è inconfondibile, deciso e a tratti terroso, a metà fra quello delle nocciole e delle radici, tanto da diventare un tratto distintivo della cucina tradizionale di molte regioni saheliane.

Dal frutto al burro

All’origine di questo prodotto versatile e oggi richiestissimo c’è un piccolo frutto, simile a una prugna verde, che cresce su alti alberi dalle foglie oblunghe e sottili. La polpa dolce e saporita nasconde però un tesoro ben più grande: un nocciolo liscio dall’aspetto di una castagna, che attraverso lunghi processi di lavorazione e raffinazione si tramuterà nel noto burro. In queste aree del Ghana la produzione a livello domestico è praticata da quasi tutte le famiglie nella stagione delle piogge, quando i frutti verdi giungono a maturazione, ma, dal momento che il burro è l’elemento più economico e apprezzato per friggere, la richiesta è alta durante tutto l’anno. Per questo motivo grossisti artigianali o le produttrici professioniste accumulano grandi quantità di noccioli per poter realizzare e vendere il prodotto anche nella stagione secca.

Si inizia con una prima bollitura, seguita dalla rottura del guscio, il cosiddetto crushing, che nei villaggi avviene ancora manualmente, nei mortai di legno colpiti ritmicamente con lunghi pali; le noci vengono poi arrostite una prima volta e macinate ulteriormente. È solo l’inizio di un processo ancora lungo che prosegue con le meticolose fasi di impasto, un’arte antica che si svolge in gruppo, nei cortili o sotto un albero, e che consente di ottenere un preparato perfettamente fluido, ideale per essere raffinato con semplicità. L’ultimo passaggio è infatti la lunga bollitura del burro grezzo e la sua raffinazione, rimuovendo a mano a mano le parti leggere che affiorano in superficie così da ottenere un prodotto con il caratteristico colore bianco ambrato.

Le sfide dell’economia e del clima

Al mercato di Tamale il burro di karité viene venduto in pentolini colorati da cui fuoriesce formando alti coni bianchi che ricordano le guglie delle moschee tradizionali di fango intonacato. Una cliente si lascia sfuggire un grido di sorpresa nel sentire il prezzo. L’inflazione e l’aumento del costo della vita colpiscono forte anche qui, ma le sfide sono molteplici: la richiesta sempre crescente di burro per l’industria dei cosmetici nel mondo occidentale ha infatti causato un sensibile aumento dei prezzi ma anche uno stravolgimento delle reti tradizionali di produzione e vendita.

«La richiesta per l’esportazione è aumentata, e così quella che era un’attività riservata esclusivamente alle donne sta iniziando a essere praticata sempre più anche dagli uomini», racconta Margherita Maniscalco, responsabile della progettazione dell’ong Ciss di Palermo, che proprio a Tamale ha attivato diversi progetti di empowerment femminile e sostenibilità ambientale. «Abbiamo individuato la filiera del karité come settore strategico per rafforzare il ruolo economico e sociale delle donne, specialmente nei contesti rurali in cui le disparità di genere sono ancora evidenti». E in un contesto così delicato anche l’urbanizzazione diventa una sfida: Tamale e gli altri centri medio-piccoli stanno crescendo a ritmi spaventosi, ben più alti delle medie regionali. Sebbene gli alberi di karité siano protetti dalla legge, accade sempre più spesso che vengano abbattuti per far posto a case e strade o addirittura per ottenere legna da ardere. Un problema ambientale non indifferente: queste piante che necessitano di poca acqua, sopravvivono alla siccità e non richiedono fertilizzanti, sono fondamentali per garantire un equilibrio ecosistemico nelle zone di savana; senza contare che un albero di karité può impiegare fino a vent’anni per dare nuovi frutti, un tempo lunghissimo che non permette di intaccare questo patrimonio. Ulteriore dimostrazione di come produzioni tradizionali, reti sociali e salvaguardia ambientale vadano di pari passo e siano tutti tasselli di un unico prezioso mosaico da preservare.

Il sole ancora alto filtra fra le foglie ed esalta i colori accesi delle stuoie, le risate e le voci delle donne si sovrappongono ai suoni ritmici delle mani che mescolano: il lungo viaggio del burro di karité è appena all’inizio, ma è già ricco di colori, suoni e tradizioni senza tempo.

Questo articolo è uscito sul numero 3/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop.

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