Mi chiamo Mouhamed Alì, faccio il pugile. E sono senegalese

di claudia

di Valentina Geraci – – Centro studi AMIStaDeS

“Mouhamed Alì Ndiaye, nato in Senegal da un padre pugile che vive nel mito di Muhammad Ali e che sogna per il figlio un futuro importante, pugile lo diventa davvero”. Con queste parole si presenta il libro “Mi chiamo Mouhamed Alì” di Rita Coruzzi e Mouhamed Alì Ndiaye, il primo senegalese campione di boxe in Italia.

Dal Senegal alla Francia e dalla Francia in Italia per migliorare i suoi allenamenti e la sua preparazione nella boxe, Mouhamed si ritrova in Toscana senza documenti e senza una casa dove stare, senza un lavoro stabile ma con un obiettivo ben preciso: restare sul ring e continuare con il pugilato. È la storia di Mouhamed Alì Ndiaye, il primo senegalese campione di boxe in Italia.
Il suo racconto è oggi parte della campagna Per battere gli stereotipi #NonServeUnCampione, lanciata da Amref in occasione dell’Africa Day 2022 e il suo libro passa tra i banchi di scuola di giovani studenti sognatori e ambiziosi proprio come lui.

Raccontaci qualcosa di te. Per chi non ti conosce, chi è Mouhamed Alì Ndiaye?
Mi chiamo Mohammed Alì Ndiaye, origini senegalesi, classe ’79. Sono figlio di un padre pugile che, prima ancora di avermi tra le sue braccia, ha pensato a me con questo nome: Mohammed Alì, nome del più grande campione di tutti i tempi. Avevo solo un anno di vita quando, in Senegal, in occasione di un viaggio con l’Unicef, mio padre me lo fece incontrare. Un incontro raccontato sulle pagine de Le soleil.

Da lì a qualche anno iniziarono i miei allenamenti di boxe con mio padre: ritmi incessanti, addestramento alla resistenza, mix di sogni e coraggio. Sono cresciuto nelle periferie di Dakar, a Pikine, dove la delinquenza allora rappresentava un grosso pericolo. A mio padre, ai suoi insegnamenti e al suo desiderio di vedermi toccare il tetto del mondo, oggi devo tutto: dagli allenamenti e dai primi guanti indossati a cinque anni ai primi incontri.

Crescendo, tra scuola e continua preparazione, ricordo di aver vinto i campionati di pugilato nazionali del Senegal negli anni ’97, ’98 e ’99. Nel 99-2000, anno in cui ho gareggiato alle qualificazioni in Francia, mi sono però reso conto che in vista di competizioni a livello internazionale, il Senegal non mi avrebbe potuto offrire l’addestramento di cui necessitavo. Ritornando casa, ho infatti detto a mio padre “O vado all’estero o la mia carriera finisce qui”.
Ho ottenuto il visto e son così partito per la Francia. Ospitato da un amico di infanzia e da sua madre, ho girato le palestre della città ma con un documento valido solo per due mesi non potevo assicurarmi alcuna partecipazione alle gare. Preoccupato per l’imminente scadenza del visto, ripreparo i bagagli e prendo quel treno che mi porta in Italia, prima a Brescia e poi a Pontedera, in Toscana.

Hai quindi deciso di lasciare prima il Senegal, poi la Francia. Com’è andata nell’Italia di ormai vent’anni fa?

La documentazione è rimasta un problema per parecchio tempo. Avevo solo 21-22 anni quando sono arrivato in Toscana, ospite di un cugino in una città che aveva fatto propria la cultura della boxe nel corso degli anni con nomi importanti nella storia del pugilato. Ho continuato ad allenarmi nella palestra di Pontedera la sera, il giorno mi dedicavo alla vendita ambulante e continuavo a sperare per ottenere quei documenti, la sola possibilità che avevo per gareggiare in Italia e non solo. Di quegli anni ricordo addosso anche una forte pressione sociale dal Senegal e da alcuni miei connazionali qui in Italia: soldi da mandare alla famiglia, speranze e obiettivi, spiegazioni e considerazioni che gli altri si aspettavano da me. Un giorno anche mio cugino, che da un po’ mi stava ospitando, mi ha poi messo alle strette facendomi scegliere tra la ricerca di un lavoro e l’abbandono degli allenamenti o la scelta di lasciare la sua casa. Ho scelto quello in cui mio padre si è impegnato per anni. Non potevo mollare e sono andato via.

I dirigenti della palestra e l’ex sindaco di Pontedera, il mio padre italiano, mi hanno dato una mano nonostante negli anni a seguire ho vissuto in una vecchia casa abbandonata, senza gas e senza luce. Grazie al lavoro di venditore ambulante, in un viaggio di ritorno in treno da Firenze, ho poi conosciuto la donna che è diventata mia moglie e con la quale oggi ho tre bambini. Con il matrimonio ho continuato a lavorare e ad allenarmi. Ho iniziato a gareggiare fino a quando Franco Falcinelli, Presidente dell’European Boxing Confederation, mi ha convocato in nazionale. Inizia la mia carriera in Italia e, con la Federazione italiana, anche all’estero.

Non sono mancate le difficoltà nel corso di questi anni anche a livello di salute. Faccio qui l’esempio di una volta in cui, dopo un combattimento, ho subito il distacco di retina nell’occhio. Più volte, in varie occasioni, le difficoltà potevano essere un momento per fermarmi, smettere di credere che quello che volevo poteva realmente realizzarsi. Anche questa volta ho però convinto, con il supporto dei medici, delle mie capacità e nel 2004 ho partecipato ai campionati assoluti di pugilato a Napoli.
Non volevano portarmi eppure ho vinto. Il primo, il secondo incontro e ancora. Sono andato avanti. L’ultimo giorno del campionato ho messo k.o. il mio avversario e sono diventato il primo senegalese nella storia campione nazionale di pugilato.

Una favola tra Senegal e Italia che diventa realtà e che può oggi passare un messaggio di speranza e coraggio a chi la conosce. Da dove nasce l’idea del libro “Mi chiamo Mouhamed Alì” scritto con Rita Coruzzi?

L’idea del libro nasce nel 2016 grazie a Franco Ligas, uno dei commentatori dei miei incontri alla Mediaset. Grazie al suo intervento ho conosciuto la cara, oggi amica, Rita Coruzzi e insieme abbiamo scritto il libro “ Mi chiamo Mouhamed Alì”, Edizione Piemme. È stato un percorso lungo due tre anni. È stato un salto tra ricordi, paure e speranze. Un viaggio insieme, tra domande e curiosità, con salti nel mio passato senegalese e in quello più recente in Italia.
Questo libro, la mia biografia, vuole essere un libro per tutti. È un testo direi universale che lascia un messaggio a chi combatte sui ring, e a chi lo fa nel quotidiano tra sfide personali e professionali, tra piccoli e grandi sogni. Tra le righe del nostro libro, un messaggio fondamentale lo rivolgiamo ai genitori. Sono i genitori che devono accompagnare i loro figli nella realizzazione dei rispettivi desideri. I genitori sono dei pilastri nella vita dei loro figli e sono coloro che hanno nelle mani un’arma importante: quella di educare alla forza di volontà e al coraggio. Questo libro, a mia volta, è una dedica a mio padre, il mio più grande sostenitore. Colui che mi ha insegnato che qualunque cosa accada, dovrò rialzarmi e andare avanti. Come sul ring così nella vita. Le parole di mio padre risuonano nella mia testa e oggi tra queste pagine raccontano di volontà, sogni e inclusione. Nella copertina, in fondo, il cuore del libro “Nessuno può fermarti se decidi di lottare per realizzare un sogno”. Nessuno.

Da campione di pugilato all’impegno nel sociale, tra il mondo della disabilità e quello delle scuole.

Nel lontano 2012 sono stato nominato Ambasciatore di buona volontà per i disabili dell’Africa dell’ovest. In Italia ho collaborato con i Vigili del fuoco e con Croce Rossa Italiana. Ormai da qualche anno, sono solito prendere i loro mezzi non più utilizzati per inviarli in Senegal dove, rimessi in sesto, possono avere un impatto concreto e fare la differenza per la vita delle persone. Oltre ai mezzi, ho mandato anche carrozzine per disabili, letti e altra attrezzatura che le strutture territoriali ci hanno donato. Il sociale, come dici, torna poi anche nello sport.

Più recente la campagna dell’associazione Amref per battere gli stereotipi #NonServeUnCampione, lanciata in occasione dell’Africa Day 2022 con il patrocinio del CONI per sensibilizzare sul legame tra sport e lotta al razzismo e all’afro-fobia in cui il mio libro diventa un punto di riferimento contro gli stereotipi e le discriminazioni. La lettura di queste pagine vuole anche essere una lettura stimolante per credere nei propri sogni e per non mollare al primo traguardo. Ovunque sei nel mondo devi dire che sei a casa tua. Niente più vittimismo. Come diceva Cheikh Ahmadou Bamba Mbacke “Non importa da dove vieni, contano solo i tuoi atteggiamenti e i tuoi comportamenti”. Questi fanno la differenza!

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