Perché è sbagliato dire “n***o”, sempre

di Marco Trovato
Per descrivere le persone afrodiscendenti, in italiano esistono tre termini principali: “n****o”, “nero” o “di colore”. Tutti possono essere problematici dipendendo dal contesto, ma il primo lo è per principio. E andrebbe estromesso dal nostro vocabolario

di Marta Sachy*

Molte volte mi sono scontrata con la parola n***a/o, utilizzata in contesti variegati con una facilità inimmaginabile: l’ho sentita sdoganare negli stadi, in uffici ministeriali, al parco. Ogni volta che la sento, mi scorre un brivido lungo la schiena e un fulmine mi trafigge il cervello. Molti di voi diranno: “ma cosa c’è di sbagliato?” Tutto!

È comprovato che le razze biologicamente non esistono. Tuttavia, la razzializzazione degli individui esiste come pratica sociale strumentale che regola l’idealizzazione di una razza a scapito di un’altra. Questo non ha conseguenze solo personali, ma ostacola l’accessibilità alle risorse economiche, sociali e politiche del gruppo sociale discriminato. Molte volte il razzismo viene confuso con il pregiudizio. I due termini sono utilizzati come intercambiabili. Invece c’è una profonda differenza: il razzismo è il pregiudizio condito con il potere. Il pregiudizio può essere individuale, il razzismo è strutturale.

Pertanto, quando si parla di razzismo, ci si riferisce sempre ad una relazione di potere, e i rapporti di forza e di potere tra la maggioranza e le minoranze passano anche attraverso il linguaggio.

Per descrivere le persone afrodiscendenti, in italiano esistono tre termini principali: “n****o”, “nero” o “di colore”. Tutti possono essere problematici, a seconda del contesto, ma il primo lo è per principio.

N***** è legato semanticamente all’idea di una razza stereotipata, con caratteristiche fiso-somatiche e morali inferiorizzanti. Storicamente si rifà al periodo della categorizzazione delle specie umane e dello schiavismo. Questa parola non descrive solo una caratteristica del corpo, veicola anche un giudizio di inferiorità fisica, intellettuale e morale. Sentire e leggere quel termine provoca reazioni negative viscerali, perché associato a odio, oppressione e sottomissione, e rievoca il concetto di inferiorità. È spregiativo, non possiede una pretesa di neutralità.

Nei primi anni Settanta, in seguito alle lotte per i diritti civili negli Stati Uniti, il suddetto termine è stato sostituito con “nero”. Secondo l’Accademica della Crusca, oggi “n***o” appartiene ormai alla sfera del vituperio. Perché è nella prassi che tale parola è generalmente avvertita dai parlanti come offensiva, sia da chi consapevolmente la utilizza per insultare (come in binomi lessicali pressoché fissi come “sporco n***o”, ” n***o di merda”), sia da chi la riceve come epiteto. Non si tratta pertanto di non utilizzare questo termine solo in nome di un dogmatico “politicamente corretto” – e già sarebbe giustificazione sufficiente – ma perché storicamente e lessicalmente richiama universi di significanti fortemente discriminatori e non vanno perpetuati neanche con diminutivi come “n****tto/a”.  

Nella scelta fra “n***o”, “nero”, “di colore” c’è dunque la percezione del rapporto tra lingua e società, e tra usi linguistici e sensibilità (individuali e collettive). Utilizzare un termine con valore denigratorio (appunto!) e discriminante nuoce alla civilizzazione di una società complessa.

Nemmeno “mulatto” è appropriato, avendo la sua radice in “mulo”, incrocio di un asino maschio – sotto-razza – e cavalla femmina – razza pura. Per fortuna la lingua è un organismo vivo e mutevole, e così si sostituisce “p*****a” con “prostituta”, “h*********to” con “diversamente abile”.

Tutti possiamo nel nostro piccolo evitiamo di utilizzare la N-word e fare la nostra parte nel decostruire i sistemi di discriminazione razziale e contribuire al cambiamento degli stereotipi razziali.

* Questo articolo è tratto dal numero 1/2023 della Rivista Africa. Per scoprire di più, acquistare una copia o abbonarsi, clicca qui!
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