Costa d’Avorio: una stagione politica complessa, una riconciliazione necessaria

di Valentina Milani

E’ stata una stagione politica più che vivace quella vissuta in Costa d’Avorio nell’ultimo anno. Volendo stendere un filo temporale che possa in qualche modo aiutare a leggere quanto avvenuto si potrebbero prendere due momenti di lutto che hanno segnato in maniera significativa questo periodo e un’appendice giudiziaria che può aprire a percorsi nuovi. A un capo di questo ideale filo si pone certamente la morte di Amadou Gon Coulibaly, delfino del presidente ivoriano Alassane Dramane Ouattara, scomparso l’8 luglio 2020 quando era ancora primo ministro; dall’altro capo il filo si chiude con la morte di un altro primo ministro, Hamed Bakayoko, scomparso il 10 marzo 2021, e con l’assoluzione dell’ex presidente Laurent Gbagbo il 31 marzo alla Corte penale internazionale.

Entrambi morti per malattia (inutili i trasferimenti in strutture sanitarie europee), Coulibaly e Bakayoko erano entrambi a loro modo influenti e diversamente vicini a Ouattara. Coulibaly era il successore già designato, la sua morte ha di fatto aperto le porte alla ricandidatura di Ouattara a un terzo mandato: fatto contestato dalle opposizioni che ha poi dato il là a manifestazioni, boicottaggi, forme di disobbedienza civile, atti di forza e violenze. Alle presidenziali del 31 ottobre 2020, Coulibaly avrebbe dovuto essere il candidato della continuità nonché la “persona di fiducia” di Ouattara. Invece, il 78enne capo di Stato è stato “costretto” a rimettersi in gioco sfidando un variegato fronte di opposizione che alla fine ha invitato a boicottare le elezioni. Queste ultime sono state vinte da Ouattara al primo turno con il 94,27% dei voti favorevoli rispetto a un tasso di partecipazione però molto basso del 53,90%. 

In mezzo ci sono state violenze che hanno fatto temere scontri di portata più ampia: da questo punto di vista, la stanchezza e il ricordo di quanto avvenuto dieci anni prima, all’apice del confronto tra Ouattara e Laurent Gbagbo forse hanno rappresentato un freno. Di certo, e di questo sembra esserne consapevole anche Ouattara, il Paese appare ancora diviso in due parti, polarizzato e ancora incapace di uscire fuori da una gabbia di contrapposizioni tra nord e sud. Le elezioni sono state contestate da Pascal Affi N’Guessan, uno dei candidati di opposizione, che ha denunciato violenze e la morte di almeno 30 persone solo il giorno delle elezioni, vittime dei sostenitori del Rassemblement des houphouëtistes pour la démocratie et la paix (Rhdp), il partito di Ouattara. E sono state ugualmente contestate dall’ex presidente Henri Konan Bedie. 

“Possiamo riconoscere a Ouattara successi formidabili dal punto di vista delle infrastrutture, tassi di crescita del Pil invidiabili…Ma il suo grande errore è stato nella riconciliazione nazionale” diceva alla Rivista Africa poco prima delle presidenziali uno dei membri del movimento della società civile Tournons la page, preferendo mantenere l’anonimato in un contesto che lui stesso definiva “di paura generalizzata”. “Veniamo da un lungo periodo di divisione, in particolare dalla crisi del 2002, proseguita poi nel 2010. Il ruolo di questo nostro presidente, eletto, era quello di poter conciliare tutte le posizioni. Il capo dello Stato non deve essere il presidente di un partito ma di tutti gli ivoriani. Ed è, purtroppo, quello che Ouattara non è stato”. Le critiche non sono rimaste inascoltate, almeno in apparenza, poiché Ouattara ha istituito un ministero dedicato alla Riconciliazione nazionale, affidato a uno dei suoi avversari alle elezioni, Koaudio Konan Bertin, dissidente dell’Rhdp. L’assoluzione dell’ex presidente Laurent Gbagbo e del suo alleato Charles Ble Goude da parte della Corte penale internazionale ha inoltre aperto la via al ritorno dei due in patria. Annunciato per il prossimo 17 giugno, tale ritorno potrebbe simboleggiare una svolta verso la riconciliazione, ma anche ridare linfa a un’opposizione più virulenta nei confronti dell’attuale maggioranza. 

Le contestate presidenziali del 31 ottobre del 2020 sono state uno dei due appuntamenti elettorali caduti tra la morte di Coulibaly e quella di Bakayoko. Alle legislative del 6 marzo 2021 come da copione l’Rhdp si afferma nuovamente con l’elezione di 137 deputati all’Assemblea nazionale ivoriana, pari al 54% dei seggi. Il risultato è ritenuto soddisfacente ma è inferiore alle aspettative che alla vigilia del voto aveva il Rassemblement des houphouëtistes pour la démocratie et la paix.

Sul fronte dell’opposizione, l’alleanza dei due schieramenti politici dei filo Bedié e dei filo Gbagbo ha portato a casa l’elezione di 81 deputati, il 32% del totale. L’opposizione si afferma nei grandi comuni della capitale economica Abidjan: Cocody, Yopougon, Port-Bouët e Marcory, ma sul totale dei 13 comuni è l’Rhdp ad avere la meglio. Trionfa il partito di Ouattara anche nelle sue roccaforti del nord e nella città di Bouaké. Patrick Achi, appena nominato primo ministro ad interim, e Hamed Bakayoko, primo ministro in carica in quel momento ricoverato in Europa sono entrambi eletti deputati nelle fila dell’Rhdp.

Il Front populaire ivorien (Fpi) schierato con Pascal Affi N’Guessan e alleati ottengono 10 seggi mentre i deputati indipendenti eletti sono 26. Ancora una volta però  il tasso di partecipazione è basso: solo il 37,88% degli aventi diritto si presenta alle urne (dato poco più alto del 2016).  Chiuse le elezioni arriverà la notizia della morte di Bakayoko.

Passate le elezioni, la data del 31 marzo 2021 – con la definitiva assoluzione dell’ex presidente Gbagbosegna profondamente le vicende della Costa d’Avorio, promettendo di aprire un nuovo capitolo. Paradossalmente, la sua assoluzione apre un altro interrogativo: chi è colpevole di quelle violenze che causarono migliaia di morti, stupri, fughe di massa della popolazione civile? 

Un interrogativo a cui Mario Giro, ex vice ministro degli Esteri italiano e profondo conoscitore dell’attualità africana, ha risposto alla Rivista Africa in questo modo: “È stata una crisi che ha coinvolto tutti, tutti sono responsabili e ne sono consapevoli. Non si doveva arrivare alla violenza, non si doveva provocare la rottura profonda del Paese. La crisi ivoriana è iniziata con il concetto di ivoirité (“ivorianità”), che ha portato la Costa d’Avorio a dividersi sulla base di categorie etnico-razziali avvelenando tutto il Paese, un Paese che sotto Houphouë-Boigny si presentava come quello della pace e della fraternità. Improvvisamente da fratelli ci si è scoperti stranieri e nemici. Questo è stato anche uno dei portati del periodo della globalizzazione, che ha fatto leva sulle identità, vere e presunte, provocando il caos”. 

Una rottura del Paese che ha causato ferite ora difficili da cicatrizzare, ha sottolineato a sua volta Arsène Brice Bado, vicepresidente del Cerap, il Centro di ricerca e d’azione per la pace all’università gesuita d’Abidjan. “Gli avversari si guardano in cagnesco, nessuno valuta di perdere. Peggio, la mentalità ivoriana è articolata attorno a una mentalità di rivincita: se perde uno schieramento, questo è convinto che i rivali cercheranno la rivincita” ha detto questo gesuita a VaticanNews.

Fattore cruciale della ricostruzione della nazione – reduce del conflitto scoppiato nel 2002 tra i ribelli delle Forze Nuove e l’allora presidente Laurent Gbagbo, successore del golpista Robert Guei che aveva rovesciato Bedié nel 1999, ma ancora, della spaccatura nata con le elezioni del 2010 in cui furono rivali Gbgabo e Ouattara – la riconciliazione di cui doveva occuparsi l’attuale presidente avrebbe dovuto riavvicinare gli antagonisti, le vittime e i perpetratori, e progressivamente limare le differenze tra gli ivoriani. Secondo il giornalista Vincent Hugeux, le divisioni nascono ancora prima, nel 1993, e hanno per protagonisti due eredi di Felix Houphuet-Boigny: Henri Konan Bedie e Alassane Dramane Ouattara. “Nell’arena politica odierna, troviamo vendicatori, superstiti e fantasmi. Con una buona dose di ego. Una situazione paradossale, se si considera l’età media degli ivoriani, che è di 19 anni” ha detto l’esperto francese del continente africano in un’analisi per TV5 Monde.

Quel che è certo è che al 2021 si arriva con i protagonisti degli ultimi 20/30 anni di storia ivoriana ormai anziani e si arriva con l’annunciato ritorno in patria di Laurent Gbagbo. Idealmente, secondo molti osservatori, questi protagonisti della vita politica ivoriana avrebbero il compito di riavvolgere il nastro di quanto avvenuto e ricostruire le basi di un Paese che nel frattempo ha invece assistito a una progressiva polarizzazione di posizioni. I “giovani” leader politici sono stati allontanati per questioni giudiziarie. Come l’ex presidente dell’Assemblea nazionale Guillaume Soro che con le sue Forze Nuove anti-Gbagbo aveva aiutato Ouattara ad arrivare alla presidenza. Passato da alleato a nemico Soro ora si trova in esilio in Europa. O come il carismatico Blé Goudé, già leader dei Giovani patrioti filo-Gbagbo. 

Sembra difficile insomma lasciarsi alle spalle anni di divisioni. “Le comunità – raccontano varie fonti sentite da Africa – sono già divise. Divise e strumentalizzate. Assistiamo ancora a un confronto tra i dioula, gente del nord, originaria per buona parte dall’immigrazione dai Paesi confinanti, e gli autoctoni, come ad esempio i baoule e i guere, vicini all’opposizione”. La questione etnica è stata strumentalizzata dai partiti, ognuno ha cercato di trarne vantaggio. La riconciliazione ancor più che necessaria appare difficile e incompiuta. Opposizione e maggioranza sembrano aver fatto un passo indietro, cercando di avviare la riconciliazione. Per uscire dal guado ed evitare gli errori e le violenze del passato servono atti di coraggio e serve una convinta azione della comunità internazionale. Il prossimo evento da tenere d’occhio sarà il ritorno, il 17 giugno, di Laurent Gbagbo.

(Gianfranco Belgrano – Céline Camoin)

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