Burundi, 100 giorni di “Neva” e un quadro sempre più cupo

di Celine Camoin

Hanno raggiunto «proporzioni allarmanti» le violazioni dei diritti umani in Burundi da quando il generale Evariste Ndayishimiye è diventato presidente della Repubblica, lo scorso 18 giugno. Un quadro cupo e preoccupante emerge dal rapporto sui primi 100 giorni al potere di “Neva” – il soprannome del leader politico e militare – stilato e diffuso nei giorni scorsi da 14 organizzazioni della società civile burundese, con l’auspicio che la comunità internazionale, Unione Africana e Nazioni Unite in primis, non si giri dall’altra parte.

«La situazione è peggiorata in tutti gli ambiti della vita nazionale, allorché il presidente aveva a portata di mano tutti i mezzi possibili per correggere gli errori del passato e garantire il benessere della popolazione. Una popolazione che ha già sofferto tanto a causa della cattiva gestione politica, securitaria e socio-economica, imputabile al regime del partito di governo, il Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze di difesa della democrazia (Cndd-Fdd)» sostengono gli autori del rapporto.

Il capitolo dedicato al rispetto delle libertà e dei diritti umani riferisce una situazione particolarmente allarmante. Dando la parola ai numeri, nei primi 100 giorni di presidenza Neva, fino al 25 settembre scorso, le organizzazioni della società civile hanno registrato un record di 278 persone uccise (di cui 26 donne e 26 minorenni), 22 rapite e scomparse, 44 torturate, 302 casi di arresti arbitrari. La maggior parte delle vittime sono esponenti del partito d’opposizione Cnl (il partito nato dall’ex ribellione hutu Fnl di Agathon Rwasa, Ndr), ex soldati delle Forze armate burundesi, e alcuni giovani tutsi. Dal lato degli autori delle violenze, si punta il dito contro i membri della Lega giovanile del Cndd-Fndd, noti come Imbonerakure, agenti di polizia e dei servizi di sicurezza, nei confronti dei quali regna la più totale impunità. A fare da sottofondo a questo clima di violenza, secondo il rapporto, è una preoccupante retorica basata sull’incitazione all’odio etnico.

Nel capitolo dedicato alla governance politica, si ricorda che l’opposizione è assente da ogni organo rappresentativo istituzionale mentre il Cndd-Fdd è ancorato ai comandi dell’esecutivo, del Parlamento e dell’amministrazione territoriale. Il rapporto della società civile analizza la composizione del governo e nota un allontanamento dallo spirito degli accordi di Arusha per la pace e la riconciliazione, per una più equilibrata divisione del potere tra le comunità hutu e tutsi. Alla carica di primo ministro, è stato nominato il commissario generale della polizia nazionale Alain-Guillaume Bunyoni, mentre alla guida del ministero della Pubblica sicurezza è stato nominato Gervais Ndirakobuca. Entrambi sono nel mirino degli osservatori internazionali per accuse di violazioni dei diritti umani nella repressione di manifestazioni nel 2015, anno in cui il clima è degenerato in Burundi a causa della decisione di Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato consecutivo.

Il rapporto di 42 pagine affronta diverse altre questioni, come quella dei profughi scappati in Rwanda e in Tanzania per fuggire dalle persecuzioni a partire dal 2015; le ottime relazioni con il governo di Arusha, in contrasto con le pessime relazioni con il regime di Kigali, accusato di ospitare e proteggere i «nemici» della nazione. Il successore del defunto Nkurunziza, scomparso improvvisamente a giugno, prosegue inoltre il discorso anti-occidentale del suo predecessore.

La terza parte del documento si concentra sulla governance socio-economica. «Tutti i settori sono in ginocchio: l’economia nazionale è moribonda, la sanità soffre della mancanza di attrezzature e di medicinali, la qualità dell’insegnamento scolastico è peggiorata, il tutto in un contesto di impoverimento della popolazione verso soglie tra le più basse al mondo. Il Burundi si colloca, inoltre, fra i Paesi più corrotti» affermano ancora le organizzazioni.

Il rapporto della società civile fa eco a un altro rapporto presentato il 23 settembre al Consiglio dei diritti umani dell’Onu dalla commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi. L’organo aveva espresso preoccupazione per il proseguimento di violazioni dei diritti umani, l’impunità, il poco spazio democratico e la nomina a cariche importanti di persone soggette a sanzioni internazionali. La commissione aveva inoltre stimato che il 74% della popolazione burundese vive in uno stato di povertà multidimensionale.

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Organizzazioni firmatarie del rapporto sui primi 100 giorni di Evariste Ndayishimiye: Cosome, Rcp, Ligue Iteka, Acat Burundi, Collettivo degli avvocati per la difesa delle vittime dei crimini di diritto internazionale, AproDh, Ubj, Associazione dei giornalisti burundesi in esilio, Forsc, Focode, Sos Torture Burundi, Cb-Cpi, Tournons la page pour l’alternance démocratique, Cbddh.

(Céline Camoin)

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