Burkina Faso, il ritiro dei militari francesi e l’ombra russa

di claudia

di Gianfranco Belgrano

L’immagine del colonnello francese Louis Lecacheur che rimette nelle mani del colonnello Adam Néré la bandiera appena ammainata del Burkina Faso è simbolicamente l’immagine di un altro passo indietro della Francia in Africa occidentale. La cerimonia che sabato ha messo fine alla missione francese Sabre è l’epilogo di una serie di decisioni che il governo militare di Ouagadougou ha preso negli ultimi mesi e che hanno sempre più distanziato il Burkina da Parigi.

A gennaio, Parigi aveva preso atto della decisione del governo di Ouagadougou di porre fine all’accordo militare con la Francia, che prevedeva la presenza di circa 400 militari a Kamboincin, vicino alla capitale Ouagadougou. Ora si è arrivati all’atto finale.

La chiusura della missione francese Sabre, attiva in Burkina Faso dal 2009, segna un altro passo nel percorso di ridimensionamento della presenza militare e politica di Parigi nel Sahel. Ad esserne convinto è Marco Di Liddo, capo dell’Unità di analisi del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.). “Dopo il ritiro di Barkhane dal Mali, la Francia deve incassare un’altra sconfitta strategica e d’immagine” sottolinea Di Liddo per il quale le ragioni di tale decisone sono molteplici: gli alti costi finanziari e logistici del mantenimento dei contingenti oltremare, la crescente impopolarità sia interna che regionale delle missioni, la mancanza di risultati concreti nella lotta all’instabilità. A questo va aggiunta la difficoltà politica di mantenere truppe in un Paese come il Burkina, retto da una giunta militare non riconosciuta internazionalmente e con crescenti posizioni antifrancesi e antioccidentali.

“Dietro al ritiro francese – aggiunge poi Di Liddo – si allunga l’ombra della Russia che, come accaduto in Mali, potrebbe colmare il vuoto creato dall’assenza di Parigi e porsi come interlocutore privilegiato della giunta burkinabè. Il modello russo è ormai ben consolidato e prende il nome di “pacchetto Wagner”, dal nome della compagnia militare privata dell’oligarca Evgenj Prigozhin, mano (poco) invisibile del Cremlino in Africa.

Il pacchetto prevede l’invio di mercenari del Wagner con funzione addestrativa delle Forze Armate locali, contrasto al terrorismo e presidio dei siti sensibili, la sottoscrizione di vantaggiosi accordi nel settore della difesa e dell’industria mineraria e il riconoscimento politico internazionale”. E tutto, sottolinea il Capo dell’Unità Analisi del Ce.S.I. senza alcuna condizionalità in materia di diritti umani o altre forme di garanzie politiche: “Un modello di business fatto su misura per le giunte militari, pronte a mettere a disposizione la ricchezza nazionale in cambio della protezione internazionale di Mosca”. 

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