Il Burundi e lo spettro della guerra

di Enrico Casale
proteste in burundi

proteste in burundiI tanto attesi risultati delle votazioni di martedì scorso sono stati ufficializzati venerdì in un hotel del centro di Bujumbura. Come ci si aspettava non c’è stata nessuna sorpresa. Pierre Nkurunziza è stato rieletto con il 69% delle preferenze. Governerà quindi per un un terzo mandato, nonostante le manifestazioni e le dure prese di posizione dei partiti di opposizione e di una buona parte dell’opinione pubblica. Il principale oppositore al partito al potere Cndd-Fdd, Agathon Rwasa (partito Fnl), ha ottenuto solo il 18%, anche se a nella capitale è stato a un passo da vincere. Nel resto del Paese, l’affluenza maggiore l’ha fatta segnare la provincia di Ngozi, città natale del Presidente Nkurunziza, con il 91,99% di affluenza. Ovviamente qui il Presidente ha vinto largamente conquistando il 79% dei voti.

Dopo settimane di violenze e notti insonni aspettando le rappresaglie di militari, polizia e imbonerakuré (la gioventù armata del Presidente addestrata dalle milizie hutu del Fronte Popolare di Liberazione del Ruanda ancora presenti sul suolo congolese), la popolazione burundese si è trovata venerdì pomeriggio a incassare il duro colpo che già si aspettava. La reazione per il momento è stata tranquilla, ma è proprio questo il problema. Le voci di milizie armate al di là del confine ruandese fanno preoccupare non poco il governo di Nkurunziza. Le reazioni della popolazione, che ha dovuto subire un colpo basso dietro l’altro sin dal 26 aprile, quando il Presidente aveva annunciato la sua ricandidatura, sono ancora da aspettare. Il 13 maggio le speranze di vedere cadere il Governo sono andate in frantumi, quando un colpo di Stato del generale dei paracadutisti, Niyombaré, ha tentato di conquistare il potere, fallendo.

La grande truffa
Il Presidente dell’associazione burundese per i diritti umani (Aprodh), Pierre-Claver Mbonimpa, ha accusato il Governo di frodi elettorali. Molta gente si sarebbe cancellata l’inchiostro sul dito (segno dell’avvenuto voto) per andare a rivotare, altri sono stati costretti ad andare alle urne e alcuni voti erano nulli. Alcuni invece si sono semplicemente impossessati del documento di qualcun altro e hanno votato. In questa situazione la comunità internazionale ha ribadito la volontà di prendere contromisure: tagliare i fondi finanziari al Paese, fondi di cui ha estremamente bisogno per sopravvivere.
A Bujumbura sono state settimane di tensione. La gente è tornata al lavoro, ma non alla normalità. I giovani si preparano al peggio, sapendo che i loro sogni per il futuro sono andati in frantumi. Il rischio di una ricaduta nella violenza non è escluso. Molti ragazzi sono stati torturati e incarcerati senza motivo. Mister K, conosciuto così nel quartiere contestatario di Nyakabigo, ammette di essere stato torturato: «Mi hanno strappato le unghie dei piedi e picchiato con dei ferri. Alcune volte il dolore è ancora così forte che non riesco nemmeno ad alzarmi». I giovani hanno paura di parlare, come tutta la popolazione del resto.

Opposizione e potere
Agathon Rwasa, ha commentato che non considera la guerra come una soluzione. Non lascia ormai la sua casa di Kiriri se non esclusivamente per questioni di primaria importanza. La paura che riecheggia nelle strade della capitale è arrivata anche a lui, ex combattente che ha passato 20 anni nella foresta come guerrigliero. «Questo Governo in 10 anni non ha fatto nulla per la popolazione. Ha solamente riempito le tasche dei suoi componenti, ci ha fatto regredire economicamente e ha fatto perdere la speranza ai nostri giovani. Non so ora quale miracolo abbia in mente Nkurunziza, ma io mi appello alla sua saggezza. Deve lasciare il Governo. Perché non ritirarsi ora e ricandidarsi per prossimo mandato? Se pensa di essere così popolare, che si ricandidi», esclama Rwasa seduto sulla sua poltrona. Lancia un appello alla comunità internazionale a fare di tutto pur di non far cadere il Burundi nel baratro della guerra. «Le negoziazioni sono importanti, ma il Governo ha fatto di tutto per ostacolarci. Non ci hanno lasciato fare la campagna elettorale e ci hanno minacciati. È chiaro che avremmo perso. Se vogliono proseguire con questa elezioni, che sono diventate una farsa, che continuino, ma non rispettando la volontà popolare avranno un grande problema».

Non è però dello stesso parare Willy Nyamitué, portavoce ufficiale del Presidente Nkurunziza. Giovane e molto sicuro di sé, lavora nella sede del partito Cndd-Fdd. Il portavoce ha accusato i manifestanti di voler fomentare una rivolta illegale: «Se continueranno con la violenza, avranno quello che si meritano. Si barricano dietro le trincee con le pietre, non per proteggersi dagli attacchi della polizia e degli imbonerakuré, ma per impedire alle persone di uscire dai loro quartieri e ostacolare il normale svolgimento della vita quotidiana. Anche gli attacchi prima delle elezioni sono stati intimidazioni, come i lanci di granate e i colpi di fucile. La polizia ha avuto l’ordine di non sparare».
I fatti non sembrano però essersi svolti in questo modo. La polizia ha avuto l’ordine di non sparare solamente durante i giorni delle elezioni e dei conteggi, ma cosa succederà ora che il processo elettorale è terminato? «La nostra speranza è quella di vedere un Burundi in pace. Invitiamo tutti ad accettare la volontà elettorale del popolo. Anche la comunità internazionale. Le elezioni sono dei burundesi, non degli europei o degli americani. Se ci taglieranno i fondi non c’è problema. Andremo avanti senza il loro diktat», commenta Nyabitué con fierezza, senza forse rendersi conto di quello che sta per succedere al suo popolo, che ancora oggi si trova fra i meno sviluppati e i più poveri al mondo. «Abbiamo grandi progetti per il futuro – continua – . Speriamo di continuare a implementarli e a recuperare questi tre mesi nei quali non abbiamo potuto lavorare normalmente».

Il futuro del Burundi è appeso a un filo. L’incubo della guerra civile ritorna a farsi sentire. Ma non solo, c’è chi addirittura compara la situazione attuale a quella antecedente il genocidio che ha colpito il vicino Ruanda nel 1994. Il futuro saprà consigliare alla popolazione cosa fare, sperando sempre che la violenza non faccia parte del suo vocabolario.

Filippo Rossi

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