Un progetto a sostegno dei bambini in Uganda

di claudia
uganda

di Tommaso Sandri

Un rotolo di carta di quarantacinque metri racconta il confine tra Uganda e Sud Sudan. L’arte unisce e si fa portavoce di comunione pacifica. La testimonianza dell’autore dell’articolo, tornato dopo tre anni, a sostegno dei progetti della ong CCU, Children Care Uganda.

La terra rossa, i moto-taxi e gli equilibri inimmaginabili sulle teste dei mercanti ambulanti non lasciano spazio ai miei dubbi. Sono di nuovo qui, nel continente africano. Nel 2020 l’avevo salutato con un arrivederci che, all’alba dell’emergenza Covid 19, pensavo sarebbe arrivato prima.

Torno a tre anni di distanza, dopo l’esperienza che mi aveva portato da Bamako, con un progetto d’arte partecipata in un campo per sfollati, a Dakar passando per il Gambia. Questa è la volta dell’Est Africa, per la precisione l’Uganda, il Paese più giovane al mondo.

Kampala mi accoglie con il suo show pirotecnico di colori ed il classico frastuono di una metropoli del Sud del Mondo in rapida crescita. Con i suoi quasi 4 milioni di abitanti, circa il 10% della popolazione totale ugandese, 100 mila moto-taxi ed una miriade di automobili, Kampala vive la sua giornata all’insegna di un traffico incessante ed un inquinamento irrefrenabile.

Girovago per le strade cittadine a bordo dei Boda-Boda, i moto-taxi che devono il loro nome alle biciclette che un tempo trasportavano i passeggeri oltre confine, chiamate Border-Border, e mi perdo nei microcosmi dei mercati cittadini, un continuo pullulare di vita.

Nel frattempo, i pochi contatti che avevo prima della partenza danno i loro frutti ed in qualche giorno si delinea davanti ai miei occhi il tragitto di questo viaggio. Le verdi colline di Kampala lasciano gradualmente spazio alle foreste tagliate dal Nilo ed all’arida savana e dopo trecento chilometri stipato in un bus sovraffollato arrivo a Gulu, seconda città del Paese.

Gulu è stata, fino al 2006, l’epicentro della guerra civile che contrapponeva l’esercito ugandese all’LRA capitanato dal signore della guerra Joseph Kony. Ogni notte quel mitomane di Kony rastrellava i villaggi compiendo le più efferate azioni a scapito della popolazione dei villaggi che ogni sera si riversava nel centro cittadino passando la notte al sicuro sotto ai porticati, nelle corti e nei cortili degli ospedali.

Mi metto in sella ad un Boda Boda e dopo mezzora di stradine sterrate e tanta polvere assorbita arrivo al Centro di Riabilitazione gestita dal CCU, Children Care Uganda, un’ONG che tra le varie azioni cerca di offrire migliori opportunità a quelli che una volta erano bambini di strada. In questa casa in mezzo alla brousse mi accolgono quattro ragazzini eccitati dalla presenza di un Muzungu, un bianco.

Dopo qualche scambio divertente di parole cercando di imparare parole della lingua Madi, una delle quaranta lingue presenti in Uganda, tiro fuori dalla borsa il rotolo di 45 metri di carta ancora illibato.

Lo srotolo davanti all’uscio di casa, vi poso sopra una ventina di pennarelli colorati e, quando spiego loro che questo rotolo raccoglierà i disegni di centinaia di persone in tutto il Nord Uganda e verrà mostrato in Italia, la reazione è un urlo di eccitazione.

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