Uganda, bloccati al mercato

di claudia

A causa del covid in Uganda migliaia di commercianti sono rimasti intrappolati per settimane tra le loro bancarelle. Nei mesi più duri della pandemia le autorità hanno imposto disposizioni ferree per contrastare la diffusione del coronavirus. Bloccati i trasporti pubblici, ai commercianti è stato imposto di non tornare a casa al termine della giornata lavorativa. Un fotografo ha immortalato le interminabili notti dei venditori imprigionati tra le loro merci

testo e foto di Stuart Tibaweswa

L’Uganda ha registrato il suo primo caso di covid-19 il 24 marzo 2020. Dopo più di due anni, il coronavirus non è scomparso, ma non fa più paura. I casi di contagio confermati dalle autorità sono meno di 150.000 su una popolazione di 48 milioni di abitanti. Poche centinaia le vittime accertate. Il peggio sembra passato, in ogni caso nell’opinione pubblica e nei media locali oggi non c’è alcuna percezione di pericolo. L’emergenza sanitaria è stata apparentemente archiviata. Benché il virus continui a circolare e il pericolo dell’insorgenza di nuove varianti sia tutt’altro che scomparso, la vita è ripresa come sempre. La capitale Kampala è tornata a essere una città caotica e brulicante di gente, indaffarata e perennemente in movimento.

Quando la pandemia è scoppiata, il clima che si respirava era molto diverso. All’indomani della notizia dei primi contagi, il presidente della repubblica Yoweri Museveni era intervenuto tempestivamente con severe disposizioni finalizzate a contrastare la diffusione del virus.

Nella primavera del 2020 fu imposta l’interruzione di tutti i trasporti pubblici. Per diversi mesi, i cittadini furono costretti a spostarsi con mezzi propri (i più fortunati e benestanti) oppure a piedi. La decisione ebbe conseguenze pesanti sull’organizzazione sociale e sulle attività economiche. A un certo punto fu ipotizzato anche l’intervento più drastico: la chiusura di tutti i mercati cittadini, per loro natura luoghi marcati da disordine e promiscuità, ritenuti potenziali fonti di nuovi focolai.

La decisione fu subito accantonata per questioni di ordine pubblico: le autorità temevano tumulti ed è facile intuirne i motivi, ben visibili tutt’oggi. Gran parte della popolazione ha assoluto bisogno dei mercati per procurarsi i beni alimentari di prima necessità. Non solo: più della metà degli ugandesi si guadagna da vivere con attività commerciali, gran parte delle quali si svolge sulla strada, in mercati ufficiali o bancarelle abusive (il “settore informale” sfama la maggior parte delle famiglie). Accantonata l’idea di chiudere i mercati, Museveni ha dovuto cercare un compromesso per cercare di frenare l’epidemia e al contempo non ridurre alla fame la sua popolazione. La scelta è stata quella di consentire il prosieguo delle attività commerciali obbligando però i commercianti a rimanere reclusi tra le loro bancarelle.

Per limitare gli spostamenti (resi oltremodo difficoltosi dal blocco dei trasporti pubblici), ai venditori è stato imposto di non tornare a casa al termine della giornata lavorativa, ma di dormire nei mercati. L’obiettivo: evitare massicci movimenti di persone che avrebbero favorito la diffusione del virus.

I dettaglianti – che certo non potevano rinunciare alla loro unica fonte di reddito – non hanno avuto scelta che adeguarsi alla direttiva presidenziale: si sono organizzati per portare avanti la loro vita quotidiana tra le bancarelle, dando prova di inventiva, forza e resilienza. Hanno trovato il modo di cucinare, dormire, accudire i figli nei piccoli spazi consentiti dall’ingombro di frutta, verdura, tessuti e ogni altro genere di merce. Il servizio fotografico che pubblichiamo documenta le interminabili notti dei commercianti ugandesi imprigionati al lavoro.

Questo articolo è uscito sul numero 4/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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