São Tomé, approdi segreti

di claudia

di Marco Trovato

São Tomé, un’isola sospesa nel Golfo di Guinea, ricca di storia e di bellezze naturali. Lontana dalle rotte del turismo, la minuscola São Tomé e Príncipe conserva il fascino decadente del passato coloniale e vanta una natura prorompente fatta di foreste, cascate, piantagioni di cacao, spiagge di sabbia candida, acque color smeraldo frequentate da tartarughe, delfini e balene.

Scopri il viaggio organizzato dalla nostra rivista a São Tomé il prossimo febbraio, con l’accompagnamento del direttore editoriale di Africa, Marco Trovato, autore di questo articolo.

La foresta pluviale sembra un’immensa cattedrale: fusti slanciati come colonne, fronde arcuate come volte e il Pico Cão Grande come guglia che svetta su un paesaggio di bellezza primordiale. Il pinnacolo del monolite roccioso, imponente grattacielo naturale dal potere magnetico, è ammantato da nuvole che riflettono una luce argentata sulle chiome di alberi monumentali. Siamo a São Tomé e Príncipe, minuscola nazione africana (solo mille chilometri quadrati: un terzo della Valle d’Aosta) sospesa all’Equatore, ex colonia portoghese, indipendente dal 1975. Le due isole di origine vulcanica, quasi invisibili sulle mappe geografiche, affiorano solitarie nel Golfo di Guinea tra le acque profonde dell’Atlantico, a duecentocinquanta chilometri dalla costa del Gabon.

I navigatori portoghesi che le scoprirono nel 1470 vi trovarono spiagge incontaminate, crateri inattivi, monti solcati da fiumi e cascate, selve popolate da miriadi di uccelli variopinti.

Le isole del cacao

Quegli approdi strategici sulla rotta delle navi negriere – che presto si sarebbero dirette verso l’America – furono inizialmente trasformati in centri di raccolta e di smistamento per la tratta dei neri. Ben presto i terreni fertili e ricchi d’acqua attirarono nuovi conquistadores che avviarono la coltivazione della canna da zucchero, del caffè e del pepe. Nel 1819 il re João VI fece importare migliaia di piante di cacao, prelevate nelle fazendas del Brasile, al tempo la più ricca delle colonie portoghesi, che solo tre anni dopo avrebbe conquistato la sua indipendenza da Lisbona.

La nuova coltura prosperò nel clima caldo, soleggiato e umido. All’inizio del Novecento São Tomé divenne il primo produttore al mondo di cacao. Ventimila braccianti – razziati dai loro villaggi in Angola, Mozambico e Capo Verde – mandavano avanti le piantagioni assicurando ai loro padroni fortune immense. Per cinque secoli i governatori lusofoni sfruttarono le ricchezze della terra e il lavoro degli schiavi. Poi le campagne abolizioniste colpirono gli interessi portoghesi e spinsero le rotte commerciali verso le grandi colonie britanniche e francesi in Africa occidentale. Per il piccolo arcipelago iniziò un lento e inarrestabile declino. Oggi i profitti del cacao, benché continuino a rappresentare la prima fonte di valuta per il Paese, si sono prosciugati. Sulle isole restano attive delle cooperative contadine e un imprenditore ostinato, l’italiano Claudio Corallo (Africa 2/2022), che produce ed esporta in tutto il mondo un cioccolato artigianale di altissima qualità. Con cura amorevole si recuperano le piante originarie puntando su un’agricoltura biologica e sostenibile.

Il cacao resta la principale voce dell’economia locale, ma le esportazioni sono ridotte al minimo. Gran parte delle piantagioni sono state abbandonate e inghiottite dalla foresta

Frammenti di storia

Gran parte delle piantagioni dell’epoca coloniale sono state abbandonate. Ciò che resta delle antiche roças, le sfarzose fattorie portoghesi, sono frammenti di storia. Tra piante e liane si vedono ancora le casupole dove alloggiavano i braccianti, gli austeri ospedali delle tenute, le rotaie arrugginite della ferrovia che portava i sacchi di cacao direttamente al mare. Nell’aria il profumo dei fiori si mescola all’odore pungente, acidulo, dei frutti di cacao lasciati fermentare sul terreno. Restano in piedi brandelli di magazzini, mulini fuori uso, ville padronali corrose dall’incuria ma che conservano la memoria dei fasti del passato.

Si respira il fascino decadente del mondo narrato da Miguel Sousa Tavares nel suo romanzo Equatore, best seller internazionale, storia d’amore e tradimenti ai tempi delle colonie, ambientato su queste isolette dove il tempo scorre leve leve, piano piano. Le donne fanno il bucato nei fiumi e stendono i panni sui massi ad asciugare. Gli uomini posano i loro machete per concedersi lunghe partite di carte sulle strade dove i bimbi rincorrono “macchinine” costruite con legno e fil di ferro. Nelle notti di luna piena, in mezzo alla foresta, riecheggiano i tamburi dei riti di liberazione dei feiticeiros, retaggi di quelle credenze animiste che più di 500 anni di cristianesimo non sono riusciti a soffocare.

Il passato che rivive

Sulle spiagge della capitale i giovani giocano a pallavolo, sotto lo sguardo imperturbabile dei tre marinai portoghesi scopritori dell’arcipelago, le cui statue bianche fanno bella mostra di sé davanti all’antico forte di São Sebastião. Il passato coloniale rivive negli edifici color pastello: del palazzo presidenziale, della cattedrale di Nossa Senhora da Graça, del loggiato della Banca Centrale affacciato su Praca da Independência. E la domenica, tra vicoli acciottolati e case di legno annerite dal tempo, può capitare di assistere a una parata di nobili, cavalieri, dignitari e chierici che paiono appena usciti da una macchina del tempo. Sono i figuranti delle compagnie locali del teatro Tchiloli, patrimonio nazionale di São Tomé e Príncipe, che da quattrocento anni mettono in scena la tragedia del Marchese di Mantova e dell’Imperatore Carlo Magno: un poema epico dell’Europa medievale importato nel XVI secolo dai colonizzatori e rielaborato nel corso del tempo dalla popolazione locale.

Le statue dei tre scopritori dell’arcipelago, Pedro Escobar, João de Paiva e João de Santarém, continuano a far bella mostra di sé davanti all’antico forte d’insediamento dei portoghesi

Delitto e castigo…

Per decenni i portoghesi inviarono sulle “loro” isole africane diverse compagnie teatrali allo scopo di allietare i funzionari coloniali e gli amministratori delle piantagioni di canna da zucchero. Gli spettacoli servivano a spezzare la monotonia di giornate sempre uguali, mitigando la pesantezza del clima insalubre e della solitudine. Ma le recite non erano riservate alla comunità dei bianchi. Vi potevano assistere i domestici delle case padronali e, nei rari giorni di riposo, anche gli schiavi costretti a lavorare come bestie nei campi. Non ci è dato sapere cosa pensassero – e cosa capissero – i braccianti agricoli di fronte a quegli spettacoli teatrali – recitati in una lingua a loro incomprensibile – che avevano per protagonisti sovrani e condottieri dalla pelle bianca.

Di certo la rappresentazione ispirata al romanzo di Baltazar Dias li appassionò. Ne furono colpiti al punto che nelle loro baracche gli schiavi cominciarono a riprodurne trama e personaggi.

Protagonista principale è il principe Carlo (Dom Carloto in portoghese), figlio dell’imperatore Carlo Magno: un giovane senza scrupoli che non esita ad ammazzare il suo miglior amico Baldovino, nipote del Marchese di Mantova, per ricevere in eredità la moglie Sibilla, di cui si è perdutamente innamorato. L’omicidio passionale viene presto svelato. Ma la vicenda è destinata a complicarsi con il coinvolgimento di molti altri personaggi – servi, nobili, vassalli, ministri e damigelle – che danno vita a intrighi di corte, intrecci amorosi, tradimenti, faide e situazioni grottesche degne di una moderna telenovela brasiliana… Una rocambolesca successione di sfide, duelli, incontri segreti e colpi di scena con un finale che lascia senza fiato…

Ancora oggi gli attori (tutti maschi: alle donne e proibito recitare) danno vita a spettacoli con scene e personaggi immutati nei secoli. Ma la storia di Sao Tomé non e cristallizzata: tra i ruderi dell’ospedale della roça “Agostinho Neto” si sente l’aroma del caffe appena tostato, nei corridoi di “Diogo Vaz” razzolano galline e maiali, i vecchi alloggi di Água Izé” sono ingombri di materassi e vettovaglie, nei magazzini abbandonati di “Ponta Figo” riecheggia il sermone infervorato di un predicatore cristiano.

Frutta e pesce a portata di mano

La gente ha rianimato questi edifici fatiscenti e sopravvive grazie alla generosità della natura. A portata di mano, in ogni stagione, ci sono gustosi frutti tropicali. Dalle banane – sette le varietà, squisite – al fruta pão, il frutto sferico dell’albero del pane, la cui polpa viene tagliata e fritta, come chips di patate. E poi maracujá (il frutto della passione), ananas, mango, papaia e l’immancabile carambola, a forma di stella, con la polpa croccante e succosa.

Gli uomini si arrampicano in cima alle palme per estrarre un succo biancastro che trasformano in vino. La spesa qui si fa sugli alberi. Oppure al mare. Le acque sono solcate da canoe con bilancieri di legno e vele di sacchi bianchi gonfiati dagli alisei. Il bottino è ricco: tonni, pesci spada, barracuda, ricciole, dentici, cernie, aragoste e polpi. Tutto a chilometro zero.

Per godere dei sapori delle isole ci sono ristoranti con terrazze panoramiche che offrono menù gastronomici con piatti ricercati e selezioni di vini portoghesi e sudafricani (come la Casa Museo Almada Negreiros a Monte Café o la Roça São João dello chef Carlos Silva a São João dos Angolares). Oppure si può fare tappa al mercato di Bobo Forro, regno indiscusso delle donne santomensi, che se ne stanno accovacciate a chiacchierare tutta la giornata tra pesce freschissimo o affumicato, piramidi di pomodori e peperoni multicolori, caschi di banane, noci di cocco, spezie piccanti, rametti di erbe aromatiche, foglie dai poteri afrodisiaci.

Atmosfere seducenti

A Boca do Inferno il respiro dell’oceano è un tuono che scuote le scogliere. Le onde s’infilano in un tunnel di granito ed esplodono in mille schizzi che bagnano i chioschi dei souvenir. Batuffoli di nuvole corrono nel cielo mentre i venditori ciondolano in attesa di visitatori stranieri. I voli dall’Europa hanno ripreso dopo il forzato stop dovuto alla pandemia, ma l’economia fatica a decollare. São Tomé resta a galla grazie agli aiuti internazionali. La moneta locale (la dobra) è debole e fragile, nelle case manca l’acqua corrente e l’elettricità arriva a singhiozzo, le piogge torrenziali si portano via le strade.

L’arcipelago si trova al centro di una tra le più importanti aree petrolifere del mondo. Le operazioni di ricerca offshore sono state avviate da tempo e il governo spera di pompare entro il 2025 l’oro nero dai fondali dell’oceano. Nel frattempo farebbe bene a promuovere il ricco patrimonio naturale e culturale. Le due isole, rimaste finora lontane dalle rotte del turismo, hanno da offrire una natura esplosiva e avvolgente, ideale per gli amanti del trekking e del birdwatching, ma anche acque color smeraldo frequentate da delfini e balene, fondali strepitosi dove praticare snorkeling e immersioni, e spiagge di sabbia finissima orlate di palme su cui rilassarsi e ammirare le tartarughe giganti che stagionalmente tornano per depositare le loro uova. Un paradiso perduto di isole ammantate da un’atmosfera languida e seducente. Pronte a schiudere le loro porte a visitatori curiosi in cerca di nuove frontiere.

Non cercate villaggi turistici all-inclusive o lussuosi resort. A São Tomé troverete residenze di charme, boutique hotel in stile coloniale, eco-lodge con bungalow di legno. E soprattutto una popolazione sorridente e affabile, crogiolo di etnie e culture, che vi farà passare la voglia di ripartire.

Il Pico Cão Grande, alto 370 metri, si erge dalla foresta quasi a forma di grattacielo

In viaggio con Africa

Una settimana fuori dal mondo. O meglio: al centro del mondo. Perché a São Tomé e Príncipe si può provare l’ebbrezza di camminare sulla linea dell’Equatore, a cavallo dei due emisferi, in uno scenario che pare uscito dal libro di avventure di Robinson Crusoe, dove la natura è padrona assoluta e dove il passato coloniale riecheggia in ogni dove: negli edifici corrosi dal sale e dal tempo, e nelle rappresentazioni del teatro Tchiloli, patrimonio nazionale.

La rivista Africa ha ideato un viaggio esclusivo alla scoperta di questa piccola nazione africana, stabile e accogliente, lontana dalle rotte del turismo e con il fascino evocativo dell’ultima frontiera. L’itinerario si snoderà tra sentieri della foresta pluviale, piantagioni di cacao e caffè, spiagge da cartolina lambite da acque turchesi od orlate da una fitta vegetazione, mercati brulicanti di gente e villaggi di pescatori dove le giornate sono scandite dal rumore delle onde.

Sarà un percorso naturalistico e culturale, ma anche enogastronomico, con tappe in ristoranti gestiti da chef creativi capaci di inventarsi piatti strepitosi coi sapori genuini della terra e del mare, e percorsi alla scoperta della produzione del gin e dei distillati di vaniglia. Non solo. Si farà visita a laboratori e botteghe artigianali dove gustare prelibatissimo cioccolato delle piantagioni dell’isola, e locali tipici in cui sarà possibile sorseggiare il caffè appena tostato. Esperienze che resteranno indelebili nella memoria come i panorami da favola e la gentilezza della popolazione. Un viaggio in una gemma preziosa del continente africano con la guida del direttore editoriale della rivista Africa, Marco Trovato, autore di questo servizio.

Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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