Mozambico – I jihadisti colpiscono duro, ma chi c’è dietro?

di Enrico Casale
jihadismo

di Marco Simoncelli (da Maputo)
Al-Sunnah colpisce ancora. Le azioni sono più violente e i miliziani armati sfidano le istituzioni. Quelle che prima erano congetture, sono diventate ipotesi plausibili e, infine, certezze. Il gruppo esiste veramente ed è ormai una minaccia per il Mozambico. A inizio settimana sette persone sono state assassinate in due diversi attacchi facendo salire a più di 40 il numero delle vittime dell’ultima ondata di assalti di quest’entità terroristica che sta seminando il panico nella provincia di Cabo Delgado, nell’estremo nord del Paese lusofono dell’Africa australe.

Un nuovo ciclo più violento che segue quello iniziato lo scorso ottobre, quando un gruppo di 30-40 guerriglieri non identificati ha attaccato simultaneamente alcune postazioni di polizia nella località di Mocímboa da Praia, a 70 km dal confine con la Tanzania, per poi ingaggiare uno scontro a fuoco con le forze di sicurezza durato due giorni e nel quale sono rimasti uccisi due poliziotti e 14 assalitori. È stato il primo attacco di stampo terroristico mai registrato nella storia del Mozambico e l’inizio delle attività armate del gruppo Ahlu Sunnah Wa-Jamâ (letteralmente «aderenti alla tradizione profetica»), spesso abbreviato con il nome al-Sunnah e chiamato comunemente al-Shabaab (letteralmente «i ragazzi») dai mozambicani, pur non avendo nulla a che fare con il famigerato gruppo jihadista sunnita somalo.

Da allora, in diversi villaggi della zona racchiusa tra i distretti di Palma e del capoluogo Pemba si sono susseguiti per mesi attacchi sporadici di relativa gravità diretti principalmente contro le forze della Polícia da República de Moçambique (Prm). Qualche edificio dato alle fiamme, poche vittime e feriti, rari i civili coinvolti e nulla di più. Le autorità mozambicane dicevano di avere la situazione sotto controllo ed emettevano notizie con il contagocce cercando di evitare allarmismi. Definivano gli assalitori come piccole cellule criminali con idee anti-establishment e legate all’estremismo islamico. Un’indagine delle forze di sicurezza aveva però portato alla chiusura di alcune moschee e all’arresto di centinaia di persone sospettate di avere legami con il gruppo. Nel frattempo, a seguito di indiscrezioni e (poche) testimonianze, iniziava a delinearsi un nome: «Swahili-Sunna», un gruppo presente nella zona da qualche anno e promotore dell’applicazione rigorosa della sharia (legge islamica).

Poi il 27 maggio scorso gli attacchi di quello che ora sappiamo essere al-Sunnah hanno assunto una diversa dimensione quando 10 civili innocenti sono stati ritrovati decapitati nel villaggio di Monjane nel distretto di Macomia. Al-Sunnah ha alzato l’asticella delle sue azioni terroristiche. L’organizzazione terroristica sembra suddivisa in varie cellule di 10-20 uomini che attaccano villaggi lontani fra loro. A quel primo raid nella regione ne sono seguiti almeno altri sette a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, due dei quali appena quattro giorni fa: 5 civili soppressi in un villaggio nel distretto di Nagade e 2 soldati uccisi in un accampamento dell’esercito, poi di nuovo un attacco vicino a Macomia con una decapitazione.

Tutto ciò mentre da poco più di una settimana il Ministro degli interni mozambicano, Jaime Basílio Monteiro, aveva attivato in quella zona un’unità speciale per «normalizzare la situazione e la stabilità delle comunità» e il portavoce della Prm, Inacio Dina, aveva assicurato che il gruppo era «indebolito». Ora la situazione sembra diventare seria e la popolazione fugge dalle zone colpite dagli assalti. La Banca Mondiale e le agenzie delle Nazioni Unite hanno allertato i dipendenti invitandoli ad adottare misure di sicurezza e, quasi in contemporanea, l’Ambasciata Usa ha invitato «caldamente» i suoi cittadini a lasciare la regione «a causa della possibilità di attacchi imminenti», seguita poco dopo da Regno Unito, Portogallo e Canada.

A Cabo Delgado sono presenti l’italiana Eni e l’americana Anadarko. Quest’ultima ha deciso di evacuare i suoi dipendenti dal suo campo nella penisola di Afungi, vicino Palma. Un grosso problema per il governo di Maputo, che proprio sullo sfruttamento degli immensi giacimenti di gas naturale scoperti nel Bacino di Rovuma, ripone le sue speranze di uscita dalla crisi economica che colpisce la nazione africana dal 2016.

Grazie a uno studio condotto sul campo da religiosi e accademici mozambicani, oggi sappiamo che al-Sunnah è nata come una setta d’ispirazione wahabita, con una visione ultraconservatrice dei precetti coranici, costituita nel 2014 per lo più da giovani oriundi e che nel 2015 ha iniziato a creare alcuni nuclei militari. I ricercatori parlano di 100 cellule sparse nella regione con un migliaio di affiliati. Gli adepti avrebbero uniformi e altri aspetti distintivi, si addestrerebbero nell’uso di armi bianche e professerebbero il rifiuto delle istituzioni e della legge.

Una serie di fattori sociali, economici e politici avrebbero portato alla sua formazione. Su tutti il sottosviluppo e la marginalizzazione politica della provincia di Cabo Delgado. Per gli studiosi gli affiliati sono infatti «giovani disoccupati, socialmente emarginati e con basso grado d’istruzione». Esisterebbero inoltre questioni etniche. Stando alle informazioni, i membri sarebbero per lo più di etnia Kimwani, che da sempre si sente danneggiata a favore di quella Makonde. E infine i capi addestrati all’estero: Tanzania, Somalia e regione dei Grandi Laghi ad esempio. La conferma è arrivata dalle confessioni di due membri catturati la scorsa settimana che hanno fatto i nomi di cittadini tanzaniani riferendosi a loro come «chefe» (capo).

I ricercatori sono convinti che al-Sunnah non abbia intenzione di creare uno Stato islamico, ma miri a destabilizzare la zona per scopi lucrativi. Sarebbe infatti legato al traffico illegale di minerali, avorio e legno pregiato di cui è ricca Cabo Delgado e con i quali si autofinanzierebbe.
Ma ci sono anche altre teorie espresse nei salotti di Maputo. C’è ad esempio chi parla di membri della Resistência Nacional Moçambicana (Renamo), lo storico partito d’opposizione mozambicano, travestiti da terroristi con l’intento di creare instabilità. E poi ci sono strane coincidenze che portano a congetture fantasiose. Il nome Erik Prince suona familiare? È l’oscuro mercenario fondatore della società di sicurezza privata Blackwater, nonché fratello di Betsy DeVos, controversa segretaria all’Istruzione Usa e coinvolto nel Russiagate del presidente Usa Donald Trump. Secondo alcune indiscrezioni, la sua compagnia Lancaster 6 Group, in joint-venture con la mozambicana ProIndicus, sarebbe in procinto di aggiudicarsi un appalto da 750 milioni di dollari per servizi di sicurezza dei giacimenti di gas nel nord del Mozambico. Violenze orchestrate da corporazioni economiche dunque? Solo mere illazioni…per ora.

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