Meno armi, piu’ giustizia

di AFRICA

di Paolo Costantini

L’editoriale del numero di gennaio-febbraio 2013 di Africa, dedicato al delicato tema delle armi e della pace nel continente.

Armi e violenza“Beati i costruttori di Pace”, ricorda il Papa in occasione della Giornata della Pace che si celebra il 1 gennaio. E Africa apre il nuovo anno con una copertina che sembra proprio il contrario: un servizio su una scuola militare tenuta da ufficiali europei. Purtroppo, lo sappiamo, i focolai di guerra e di terrorismo non mancano. L’Europa cerca di rimediare a uno di questi focolai, quello in Somalia in questo caso, formando militarmente dei profughi somali perché possano aiutare a riportare legalità, stabilità e pace nel proprio Paese.

Come cittadino, potrei anche condividere questo pensiero di fronte al marasma e alle atrocità che violentano tanti Paesi per i quali forse urge anche un intervento armato. Ma come missionario che ha conosciuto varie situazione in Africa, mi viene più spontaneo chiedermi il perché di queste guerre. Nei tanti anni vissuti nelle foreste del Kivu, nella RD Congo, non ho mai visto manghi produrre kalashnikov né banani far nascere munizioni, né ananas trasformarsi in bombe a mano… Eppure quelle regioni martoriate pullulano di soldati e miliziani con fucili nuovi e munizioni in grandi quantità… Da dove vengono questi strumenti di morte? Un’occhiata anche superficiale alla cartina del continente africano mi mostra che le regioni in cui si combatte sono ricche di materie prime importanti oppure occupano siti geograficamente strategici.

Mi vengono spontanee allora certe riflessioni. Nei secoli passati, il traffico degli schiavi è stato la base della rivoluzione industriale e ha contribuito molto alla ricchezza dell’Occidente. Oggi succede la stessa cosa con le potenze trainanti dell’economia del pianeta che hanno assoluto bisogno delle ricchezze custodite nel forziere africano.

I negrieri di ieri stabilivano relazioni commerciali con le tribù costiere offrendo perline, specchietti, tessuti, sgangherate armi da fuoco o alcool in cambio di oro nero: schiavi, appunto. Questo ovviamente includeva il riconoscimento di chi controllava quel territorio: capi tribù, piccoli re… Oggi il meccanismo non è molto diverso. Le potenze finanziarie, le lobby economiche, le multinazionali e faccendieri vari stabiliscono accordi con i capi di Stato del continente offrendo riconoscimento politico, appoggio internazionale, forniture di armi (difensive!?) in cambio di milioni di persone schiavizzate come manodopera a buon mercato… Insomma molte classi politiche hanno sostituito le “tribù costiere” di ieri: tentati da abili corruttori, intascano il frutto della corruzione e vendono le proprie popolazioni aprendo il Paese al saccheggio di ogni tipo di ricchezza. Anche vendendo la terra dei propri compatrioti. Ecco allora da dove vengono le armi, allora da dove vengono tanti “soldati” arruolati da questo o da quel generale o colonnello, insomma da un filibustiere qualunque, per creare il caos in cui pescare in abbondanza.

Sarà anche utile formare militari capaci di difendere il proprio Paese. Penso però che sia molto più importante valorizzare quella vasta schiera di uomini e donne della società civile africana che, ogni giorno, si battono per i diritti umani, per la democrazia, contro la corruzione. Sono persone a rischio, perché i dittatori non ammettono critiche. Se queste persone sono valorizzate, conosciute e premiate, meno facilmente diventeranno dei bersagli. Anzi, diventeranno alternative a quelle élite politiche africane che sono il fondamento, la base sulla quale si reggono i moderni sistemi schiavistici. Allora forse potremo sperare nella pace per questo continente da sempre defraudato.

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