Lago Ciad | Picco di sfollati, la crisi umanitaria si aggrava

di Valentina Milani
lago ciad

Come si evince dagli ultimi dati pubblicati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), il numero degli sfollati nella zona del Lago Ciad (che coinvolge Camerun, Ciad, Niger, Nigeria), ha toccato picchi tanto preoccupanti quanto ignorati. Circa 363.807 persone sono oggi senza una casa in queste terre: secondo l’OIM, quindi, più della metà della popolazione della provincia del Lago è attualmente da considerarsi sfollata.

Questi ultimi dati mostrano un aumento del 22% del numero di profughi rispetto al precedente quadro di valutazione, che risale solo a pochi mesi fa (aprile 2020). Si tratta del numero più alto mai registrato da quando l’OIM ha incominciato il monitoraggio degli spostamenti nella regione del Lago.

I fattori scatenanti di tali migrazioni sono principalmente due: l’instabilità climatica della zona in rapido corso di desertificazione ma ultimamente interessata da piogge torrenziali e l’insicurezza dovuta alla presenza costante di gruppi armati legati a Boko Haram. Dal 2015, la regione è infatti oggetto di ripetuti attacchi da parte di milizie non statali che hanno costretto – e costringono – milioni di persone in tutti e quattro i Paesi interessati a fuggire dalle loro case. Dall’inizio dell’anno, le incursioni si sono intensificate, spingendo il governo ciadiano a dichiarare, lo scorso marzo, i dipartimenti di Fouli e Kaya zone di guerra.

A rendere ancora più inospitale la regione sono alcuni fattori ambientali che oscillano tra desertificazione crescente e piogge torrenziali degli ultimi mesi: due poli opposti che di certo non rendono facile la vita alle popolazioni che vivono per lo più di agricoltura. Mouftah Mohamed, capo della filiale dell’OIM a Bagasola, nella provincia del Lago, ha spiegato che «quest’anno la zona ha registrato le precipitazioni più pesanti degli ultimi 30 anni. Secondo il gruppo di sicurezza alimentare, siamo a 400mm di pioggia, pioggia che continua a cadere. Ecco perché stiamo assistendo a inondazioni improvvise nei villaggi e nei campi, che stanno spostando migliaia di persone».

Così, centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini vivono ora senza un tetto, senza un’adeguata protezione dalle intemperie, senza accesso all’acqua e alle strutture igienico-sanitarie e senza una sufficiente protezione contro il covid-19.

Tra l’8 e il 16 agosto 2020, 11.764 persone si sono spostate tra Fouli, Kaya e Mamdi: una delle cifre più alte mai registrate dall’OIM in un periodo di tempo così breve. Di questi, il 36 per cento è fuggito a causa delle inondazioni e il 64 per cento a causa del peggioramento della situazione della sicurezza.

«Si tratta di una tendenza preoccupante: gli spostamenti sono diventati non solo ricorrenti, ma anche numerosi e prolungati a causa del progressivo deterioramento delle condizioni sicurezza e della situazione ambientale», ha dichiarato Anne Kathrin Schaefer, responsabile della missione dell’OIM in Ciad.

Da qualche anno si sta infatti assistendo a un processo costante di desertificazione di quello che era il quarto lago più grande d’Africa: dagli anni Sessanta a oggi il bacino del lago Ciad ha infatti perso il 90 per cento della sua superficie. Come scriveva il reporter Raffaele Masto solo un anno fa, infatti, «il lago Ciad un tempo dava lavoro, indirettamente e direttamente, a quasi 40 milioni di persone e forniva acqua per irrigazione a 20 milioni di persone. Oggi è diventato poco più che una pozzanghera: è passato da 20.000 chilometri quadrati nel 1970 agli attuali 2000 chilometri quadrati».

Così, di fronte all’avanzare della sabbia, dei gruppi armati e delle malattie, le persone non possono fare altro che spostarsi e spostarsi ancora, in cerca di posti anche solo un po’ più ospitali.

*Per approfondire: https://www.africarivista.it/reportage-dal-lago-ciad-epicentro-di-una-catastrofica-crisi-umanitaria/144681/

(Valentina Giulia Milani)

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