La nuova serie di Raoul Peck

di claudia

Proseguiamo la nostra rassegna dedicata ai grandi registi neri e alle loro produzioni. Raoul Peck, originario di Haiti, ha mantenuto tutta la vita un rapporto profondo con l’Africa. Noto per i suoi film di denuncia, è da poco uscita su ARTE.tv una serie dedicata al tema della supremazia bianca “Exterminez toutes ces brutes”, che il regista ha realizzato con l’ausilio di archivi di immagini, scene d’animazione e fiction

di Annamaria Gallone

Raoul Peck, regista haitiano che fa parte della diaspora africana, è noto in tutto il mondo per il coraggio dei suoi film di denuncia. Figlio di un diplomatico, ha trascorso gli anni della sua infanzia in Congo e all’Africa è sempre rimasto molto legato. Si è condannato ad un esilio volontario, durante la dittatura instaurata ad Haiti da François Duvalier. Dopo la fine del regime, dal 1995 al 1997 ha svolto l’incarico di ministro della cultura.

Il FESCAAAL (Festival di Cinema africano, d’Asia e America Latina), lo ha seguito in tutte le sue tappe di regia, fin dal primo lungometraggio, L’homme sur les quais (1993), primo film caraibico presentato al festival di Cannes. Altri suoi film pluripremiati sono Lumumba (2000), Moloch Tropical (2009), I am not your negro (2016), Il giovane Carlo Marx (2017).

Ora è appena uscita su ARTE.tv, e quindi visibile a molti di noi, un’appassionante  e sconvolgente serie documentaristica  prodotta da HBO in quattro episodi sulla supremazia bianca:  Exterminez toutes ces brutes. Già i suoi precedenti film erano stati un duro attacco al razzismo, ma in questa serie Peck approfondisce il soggetto con l’aiuto di archivi di immagini, scene d’animazione e anche fiction, ricostruendo brillantemente il puzzle di circa 500 anni di dominazione bianca nel mondo.

In un’intervista rilasciata a TV MAGAZINE il regista ha dichiarato: “Sono arrivato al cinema attraverso la politica. Non sono un regista per essere un regista. Per me, la settima arte è una forma di combattimento. Ci permette di riflettere le società in cui viviamo. Ho avuto il privilegio di vivere in diverse società, che ho potuto osservare da diversi punti di vista. Per questo film in particolare, ho dovuto trovare la forma. Mi concedo la libertà, la flessibilità di lasciare che la forma venga da me. Prima lavoro sul contenuto e poi le cose vengono fuori e devo trovare il modo di riprodurle nel modo più drammatico possibile, nel giusto senso della parola. Bisogna strutturarli in modo da catturare l’attenzione dello spettatore lasciando loro la possibilità di portarvi i loro pensieri e le loro reazioni, come se stessimo facendo il film insieme. Sono un erede del cinema americano, europeo e africano… Ma ho dovuto decostruire per creare qualcos’altro. Non mi sono mai vergognato di mescolare clip, foto, notizie, documentari, archivi, scritti… È un insieme di strumenti per esprimere contenuti ed emozioni. E tutto ciò che è finzione nella serie è un modo di esprimere emozioni che non potrei esprimere altrimenti”.

Anche la Francia, dove vive ormai la maggior parte del tempo, è oggetto delle sue accuse. “La Francia è in fase di negazione e i suoi figli non hanno più tempo. I suoi figli “adulteri” non vogliono più aspettare. I suoi bambini neri, bianchi, gialli e arcobaleno stanno diventando irrequieti”, dice il regista in un testo intitolato “J’étouffe” (sto soffocando).

Con rabbia contenuta, il cineasta spiega come il razzismo “brutale, brutto e maligno” che vede in Francia non è altro che il risultato di una lunga storia legata all’ascesa del capitalismo e alle disuguaglianze sociali. “Siamo semplicemente giunti alla fine di un’eredità troppo pesante di ingiustizia, negazione e profitto, costruita sulla miseria degli altri. La Francia si rifiuta di accettare che ha perso la sua posizione predominante e il suo impero”.

Evidentemente gli articoli francesi che stanno uscendo non sono troppo benevoli verso Peck: cerchiamo di vedere la serie, sperando che venga presto programmata sulla Rai o altre piattaforme, se non riusciamo a vederla su Arte, così da poter dare un nostro giudizio non di parte.

Condividi

Altre letture correlate: