La Guinea Equatoriale, un affare di famiglia

di claudia

Si sono appena tenute le celebrazioni dell’anniversario del golpe che il 3 Agosto 1979 ha portato al potere Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, da allora presidente della Guinea Equatoriale. La sua dittatura non sembra giungere al capolinea. Il presidente sta formando il suo erede, il figlio Teodorin, che è già sulle orme del padre, tra guai giudiziari e bramosia di denaro

di Angelo Ravasi

La peggior dittatura dell’Africa compie 42 anni. Si tratta della Guinea Equatoriale. Il presidente Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è in carica dal 1979 dopo un colpo di stato nel quale rimosse suo zio Francisco Macias Nguema. La famiglia Obiang rappresenta il peggior esempio di cleptocrazia con un presidente al potere 42 anni e rieletto al suo quinto mandato settennale alle elezioni del 2016. Presidenziali che non hanno avuto altro significato se non quello di ammantare con una sorta di rito democratico un impero, un regno, simbolo della bulimia di potere e denaro. Quattro decenni, un tempo record per qualsiasi politico, nel corso dei quali il presidente ha gestito la Guinea Equatoriale con pugno di ferro e tanti scandali. Il suo potere, però, potrebbe non essere alla fine, nonostante l’età, 79 anni, infatti sta preparando il figlio, Teodorin, 53 anni, e suo attuale vicepresidente a prendere il suo posto.

La Guinea Equatoriale è sempre stata un affare di famiglia. Macias Nguema, infatti, è stato il primo presidente dopo l’indipendenza dalla Spagna, dal 1968 al 1979. Nel 1972 si nomina “presidente a vita”- formalmente di “fece” nominare – e instaura nel Paese un autoritarismo senza precedenti – un vizio di famiglia – ma non riesce a sopprimere la ribellione guidata dal nipote 37enne che nel 1979 prende il potere e sottopone lo zio a un processo sommario con 101 accuse di genocidio, deportazione e rapina. La condanna a morte è scontata, e viene eseguita il 29 settembre dello stesso anno. Un fatto curioso: nessun soldato guineano si propose volontario per comporre il plotone di esecuzione per paura che lo spirito di Macias potesse perseguitarlo. Ma la condanna doveva essere eseguita e così viene assoldato un gruppo di mercenari marocchini che mettono fine alla vita di Macias.

Teodoro Obiang è arrivato al potere il 3 agosto del 1979. Nel pieno della Guerra Fredda. Sfugge a una decina di tentativi di colpi di stato. Per far fronte alle minacce crea servizi di sicurezza fortissimi e onnipresenti. La Guinea Equatoriale è un Paese poverissimo, i suoi abitanti, non certo la classe dirigente, cioè la famiglia del presidente. La scoperta del petrolio, e il suo sfruttamento, negli anni Novanta, non cambiano nulla per la vita dei guineani – poco più di un milione e quattrocentomila – che arrancano ogni giorno per arrivare a sera. Il Paese è il terzo produttore di greggio dell’Africa Subsahariana, con circa 360mila barili giorno. Una terza piazza che la Guinea Equatoriale si contende con Gabon e Congo Brazzaville, paesi anch’essi governati da autocrazie. La Guinea Equatoriale, tuttavia, ha il Pil pro capite più alto di tutta l’Africa con 31mila dollari. Solo questo dato fa capire quanto sia cleptocrate il potere, e la conferma arriva se si guarda all’Indice di sviluppo umano, il Paese si colloca al 136esimo posto con uno 0,537. 

Il presidente golpista, inoltre, mostra il suo disprezzo per tutti i detrattori “occidentali” che criticano la sua gestione e la violazione dei diritti umani, non certo per quelli che mostrano interesse per le ricchezze del sottosuolo. I principali oppositori o finiscono in carcere, senza tanti riguardi, o trovano rifugio all’estero, in particolare in Spagna, ex potenza coloniale. Come tutti i grandi dittatori adora accogliere i suoi ex colleghi, come Yahya Jammeh, ex dittatore del Gambia, che ha trovato rifugio a Malabo all’inizio del 2017.

Teodorin Nguema Obiang Mangue, vicepresidente e ministro della Difesa della Guinea Equatoriale, seduto su un trono dorato durante le celebrazioni del 42esimo anniversario del golpe

L’anniversario del golpe

Le celebrazioni del 42esimo anniversario del golpe che ha portato al potere il leader africano più longevo, sono state presiedute interamente, per la prima volta nella storia del piccolo Paese africano, dal figlio di Obiang, Teodorin Nguema Obiang Mangue, vicepresidente e ministro della Difesa. La marcia e gli onori militari, organizzati dal governo a Malabo per l’anniversario, si sono svolti interamente di fronte al rampollo di casa Obiang, seduto su un trono dorato in abiti occidentali, che nella stessa mattina aveva pubblicato sul suo account Instagram una foto di sé seduto su quello stesso trono. Le manifestazioni pubbliche si sono tenute dopo una riunione del cosiddetto “clan di Mongomo”, la cerchia di parenti più stretti e dei collaboratori più fidati di Obiang. Insomma, una celebrazione per incoronare ufficialmente – salvo colpi di scena improbabili – Teodorin, che da anni è annunciato come “erede al trono” del padre, ma i cui guai giudiziari ne hanno, solo, rallentato l’ascesa politica. La scorsa settimana la Cassazione francese lo ha definitivamente condannato a 3 anni di reclusione, 21 milioni di euro di multa e alla restituzione di 150 milioni di euro di fondi pubblici frodati in Guinea Equatoriale e riciclati in Francia in appartamenti, automobili, quadri, beni di lusso. Un processo simile si era tenuto negli Stati Uniti anni fa, per cui Teodorin patteggiò una condanna per riciclaggio con un risarcimento milionario, mai pagato, e un altro è in corso in Svizzera, dove un aereo della compagnia di bandiera guineana è ancora sequestrato in un hangar di Losanna.

Non sarà certo questa condanna, esemplare, a mettere fine alla feroce dittatura, ma può rappresentare un precedente. La sentenza e la conferma della stessa Cassazione francese aprono la porta a possibili altre condanne storiche. Il caso più emblematico è quello che riguarda la famiglia del presidente del Congo Brazzaville, Denis Sassou Nguesso: la giustizia francese, per ora, ha incriminato la figlia, il genero e il nipote, perché sospettati di riciclaggio e appropriazione indebita di fondi pubblici. Processi e indagini che vanno avanti da anni e che confliggono con gli interessi economici francesi nel Paese. Poi c’è la famiglia “reale” del Gabon, in particolare il capostipite Omar Bongo. Anche qui è una questione di riciclaggio, corruzione e appropriazione indebita di fondi pubblici. Per queste accuse è stata condannata la banca francese Bnp Paribas. Accuse che hanno fatto seguito a un’indagine sui beni francesi della famiglia del defunto Omar Bongo, ma intanto il potere è saldamente nelle mani del figlio Alì.

Tutto ciò può rappresentare un precedente per scoraggiare i presidenti bulimici di denaro? Forse, anche se, spesso, la storia africana va in un’altra direzione. Verrebbe da dire: è l’Africa bellezza.

(Angelo Ravasi)

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