La corsa militare dell’Africa

di claudia

di Mario Giro

L’instabilità spinge i governi alla disperata ricerca di contractors e fornitori di armi. Russia, Stati Uniti, Cina si contendono l’influenza politico-militare, ma ci sono altri protagonisti privati, e medie potenze, che partecipano al riarmo africano

L’instabilità è talmente forte da spingere varie leadership africane alla disperata ricerca di contractors o fornitori di armi. Il caso più emblematico è il Mozambico, dove la provincia di Cabo Delgado è preda di una ribellione jihadista dal 2017. Il governo le ha provate tutte: i russi della Wagner, mercenari sudafricani, militari dei Paesi vicini… L’ultima mossa sta avendo un qualche successo: le truppe rwandesi, che tuttavia si fanno pagare in maniera salata. Secondo il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), la Russia è il principale esportatore di armi in Africa, seguita da Stati Uniti, Cina e Francia. Ora l’eccessiva dipendenza dagli armamenti russi potrebbe sguarnire alcune difese africane, a causa dell’embargo e conseguente difficoltà di rifornirsi di pezzi di ricambio. Perciò si prevede un aumento del mercato nero, quello in mano a privati senza scrupoli.

Un altro effetto del conflitto ucraino potrebbe essere il desiderio di espansione del settore africano della difesa. Paesi come Sudafrica, Egitto, Nigeria e Algeria hanno aziende competenti in materia e potrebbero colmare il divario, almeno parzialmente.

L’Africa rimane strategica come area di transito del commercio internazionale: una delle preoccupazioni delle grandi potenze è la stabilità di corridoi marittimi come lo Stretto di Gibilterra, il Mar Rosso, lo Stretto di Bab el-Mandeb e il Canale del Mozambico. Da questi colli di bottiglia transita un terzo del commercio tra Asia e America. Instabilità dei Paesi costieri o pirateria potrebbero mettere a repentaglio una globalizzazione commerciale già claudicante. Uno dei temi trattati al vertice Usa-Africa di dicembre (che mancava dal 2014) è stato questo: la proliferazione di basi militari e navali sul continente che riguarda protagonisti vecchi e nuovi, come la Cina (che punta a una seconda base in Guinea Equatoriale dopo quella di Gibuti), la Francia (che si sta riposizionando nel Sahel dopo aver lasciato il Mali), la Russia (che cerca di convincere il Sudan a offrirle una base marittima) e così via. Per questo gli Stati Uniti stanno diventando più assertivi nei confronti degli Stati del continente.

Sono numerose le crisi che provocano aumenti delle forniture militari. La guerra in Tigray ha riacceso le mire eritree nel Corno, mentre il Kenya si sta ritagliando un ruolo di “pacificatore armato”, accettando anche l’addestramento cinese per la polizia nazionale. Dal canto suo, per contrastare la ribellione tigrina Addis Abeba si è rifornita di armi da Sudan, Turchia, Emirati Arabi Uniti, India, Israele, oltre che da Cina e Russia. Anche la Rd Congo cerca il supporto cinese per mettere la sua zona aurifera in sicurezza.

Dopo una decina d’anni di scarso interesse, gli Usa cercano di contrastare i concorrenti anche sul piano delle forniture e dell’addestramento militari. I fattori che provocano crisi e conflitti in Africa sono molto diversificati e legano assieme ragioni etniche, di potere, diseguaglianza economica e povertà, estremismo religioso. Il rischio è che i conflitti si prolunghino all’infinito, favorendo il commercio delle armi. Nelle annose guerre del Kivu (Rd Congo) e del Sahel (Mali e Burkina), gli interventi militari esterni non si sono dimostrati efficaci. È la dimostrazione che lo strumento militare è obsoleto e che la guerra nutre sé stessa all’infinito.

Le numerose insurrezioni africane sono un prodotto dell’esclusione, che assume varie facce solo apparentemente diverse: l’emarginazione di interi popoli o classi (sociali e, più spesso, di età) in Paesi dalle istituzioni già infragilite dalla competizione globale provoca reazioni a catena e fenomeni di imitazione e contagio. Tutte le ribellioni africane fermentano in un clima di estrema povertà, associata a impudica ricchezza legata alla corruzione. Avere un’arma in mano appare a molti giovani impoveriti l’unico modo di affermarsi, come singoli o come gruppo. Paradossalmente, però, ciò favorisce gli interessi delle grandi potenze e dei profittatori privati dell’instabilità globale.

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