La città che divide

di claudia
città

di Federico Monica

L’urbanizzazione rende eclatanti le diseguaglianze sociali. Nelle metropoli africane – sempre più simili a quelle sudamericane – gli slum dei poveri sorgono a pochi passi da quartieri esclusivi dove i ricchi si autorecludono per proteggersi dal mondo circostante, percepito come pericoloso e ostile

Nel giardino di una villa, l’azzurro invitante di una piscina circondata da palme contrasta con i muri scrostati e i tetti in lamiera di una favela; a separarli, solo pochi metri e un alto muro di cemento sovrastato dal filo spinato. Un’immagine che associano alle metropoli dell’America Latina, tradizionalmente emblematiche della diseguaglianza urbana, ma che è sempre più diffusa anche nelle città africane. La sostenuta anche se ondivaga crescita economica di molti Paesi subsahariani e il conseguente aumento delle classi medio-alte portano con sé, oltre a opportunità e progressi, l’aumento delle disparità sociali. Disuguaglianze particolarmente stridenti nelle aree urbane: nelle città infatti si concentrano le fasce più benestanti della popolazione, ma anche le moltitudini in stato di estrema indigenza che affollano slum e sterminati quartieri informali.

Impronta coloniale

Non è una novità assoluta: molte grandi città africane hanno un’origine coloniale, furono quindi fondate come organismi escludenti, create su misura per funzionari provenienti dalle madrepatrie e rese inaccessibili alle persone locali, che potevano accedervi solo in possesso di autorizzazioni o di permessi di lavoro. Questa impostazione crollò insieme agli imperi coloniali: i quartieri europei vennero occupati dalle nuove élite africane mentre le città divennero accessibili a chiunque, innescando un esodo inesauribile dalle campagne. Da quei centri basati sulla segregazione si svilupparono centri urbani relativamente equi o, meglio, equamente poveri: fino agli anni Ottanta le classi medio-alte di molte capitali erano talmente esigue da non risultare statisticamente rilevanti e da non rendere evidenti le disparità.

Oggi la situazione è radicalmente cambiata e l’impatto del nuovo divario sociale sugli spazi urbani è notevole: le città finiscono per perdere il loro ruolo di catalizzatori di relazioni e scambi culturali, sociali, commerciali, diventando luoghi di conflitto.

Prigioni dorate

Ne è esempio lampante la diffusione sempre più ampia delle gated communities: quartieri di ville o appartamenti di lusso recintati e sorvegliati giorno e notte da guardie private. A Lagos, Kinshasa, Khartoum o Nairobi il mercato immobiliare di questi insediamenti è in costante crescita, prigioni dorate in cui autorecludersi dal mondo circostante, percepito come pericoloso e ostile.

Allo stesso tempo le vivaci e caotiche aree dei mercati vengono frequentate sempre meno dalle classi sociali più elevate, che preferiscono l’idea di modernità, sicurezza e lo stile più “occidentale” offerti da centri commerciali e supermercati. Non a caso sono decine i mall che spuntano ogni anno nelle periferie delle metropoli africane; ambienti esclusivi dove si svolge gran parte della vita sociale delle nuove élite: incontrarsi, fare acquisti, trascorrere il tempo libero nei cinema o nei caffè Starbucks. All’ingresso, gruppi di guardie con le armi in bella vista selezionano accuratamente chi può entrare, principalmente in base all’abbigliamento e all’aspetto estetico.

Invertire la rotta?

L’immagine in questa pagina è eloquente: il campo da golf a sinistra, le baracche a destra, due mondi divisi da una siepe: il fotografo Johnny Miller ha immortalato dal cielo i contrasti urbani del Sudafrica. Ogni città diventa una sovrapposizione di diverse città, che si sfiorano senza mai incontrarsi veramente: quartieri e luoghi di ritrovo da cui i poveri sono esclusi e, allo stesso tempo, quartieri popolari o sobborghi in cui nessun ricco si attenterebbe mai a metter piede. In mezzo, i terreni contesi, come le vie delle zone di mercato che i più agiati vorrebbero libere da venditori e bancarelle, o come le baraccopoli da eliminare, non tanto per questioni umanitarie ma per un maggior decoro urbano.

Le città africane “moriranno” sudamericane? Molte metropoli brasiliane lavorano da tempo, con scarso successo, per ricucire gli strappi che decenni di urbanistica della disuguaglianza hanno generato. In Africa c’è ancora tempo per invertire la rotta, magari cercando di tradurre in visioni politiche e urbane i valori tradizionali di senso di comunità, condivisione e capacità di adattamento.

Foto di apertura: una siepe divide il campo da golf dalle baracche: il fotografo Johnny Miller immortala dal cielo l’eredità dell’apartheid in Sudafrica

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