Festival di Cannes, due film che esplorano le complessità della guerra

di claudia
"Tirailleurs" di Mathieu Vadepied

di Annamaria Gallone

Ha preso il via questa settimana la 75° edizione dl festival di Cannes. Oggi vi parliamo di due film presentati in rassegna: “Tirailleurs” di Mathieu Vadepied, e “Les Harkis” di Philippe Faucon. Le opere affrontano la storia (ancora oscura) degli africani arruolati nell’esercito francese durante la Prima guerra mondiale e la guerra d’Algeria. 

La 75° edizione dl festival di Cannes (17/28 maggio 2022) è cominciata con un taglio politico legato alla guerra in Ucraina, con una parata di aerei militari che volava sopra la Croisette. E di politica e di storia trattano con una curiosa -forse voluta- coincidenza della programmazione, due film molto diversi incentrati su situazioni ravvicinate, uno in Senegal, l’altro in Algeria. I due autori sono francesi ed entrambi trattano delle promesse non mantenute della Francia nei confronti delle popolazioni che ha colonizzato.

“Tirailleurs” di Mathieu Vadepied, e Les Harkis” di Philippe Faucon, affrontano il destino degli africani arruolati nell’esercito francese durante la Prima guerra mondiale e la guerra d’Algeria. Due film che hanno in comune l’esplorazione delle complessità della guerra, senza manicheismo.

Presentato in apertura della sezione Un Certain Regard, “Tirailleurs” ha ricevuto una lunga standing ovation mercoledì 18 maggio. “Questo film significa molte cose per me. Non abbiamo la stessa memoria ma abbiamo la stessa storia”, ha spiegato Omar Sy, come sempre attore straordinario e anche co produttore del film. Durante la Grande Guerra, circa 200.000 soldati dell’Africa sub sahariana provenienti dalle colonie francesi, comunemente noti come “tiratori senegalesi”, furono inviati al fronte, insieme ai soldati della Francia continentale. Mentre 30.000 di loro morirono in combattimento, molti sopravvissuti tornarono feriti o paralizzati, senza mai ottenere il riconoscimento dalla Francia. Al di là del frastuono e dell’orrore della guerra, Vadepied mette al centro del suo film un  tormentato rapporto di padre e figlio. Di fronte a Bakary che vuole solo riportare a casa vivo il suo ragazzo, Thierno, galvanizzato dall’ambizione militare, minaccia di scappare da lui. La stessa storia sconvolgente è stata narrata con straordinaria efficacia nel ’98 dal decano del cinema africano, il senegalese Sembene Ousmane, in “Camp de Thiaroye”, il luogo dove furono sterminati gli africani che chiedevano ai Francesi di ricevere un riconoscimento in denaro per aver combattuto accanto a loro.

Per il regista, Mathieu Vadepied, “Tirailleurs” è il risultato di un lungo processo di riflessione. Un’idea nata nel 1998 con la morte dell’ultimo fuciliere senegalese, Abdoulaye Ndiaye, all’età di 104 anni. Era stato arruolato con la forza nel 1914. “L’ironia del destino è che morì il giorno prima di ricevere la Legion d’Onore promessa dal Presidente della Repubblica, Jacques Chirac”, sottolinea Mathieu Vadepied.

Anche Philippe Faucon, regista del film “Les Harkis”, ci ha pensato a lungo. “La guerra d’Algeria è una questione ossessiva per me. Sono nato in questo periodo, da genitori che l’hanno vissuta e che ne sono rimasti molto colpiti”, sottolinea il regista, che nel 2005 con il suo film “Tradimento” si era già avvicinato a questo capitolo storico.

 “Les Harkis”, racconta l’abbandono degli algerini che combatterono per la Francia contro l’FLN (Fronte di liberazione nazionale) durante la guerra d’Algeria (1954-1962). Il lungometraggio descrive il viaggio di una truppa di harki, dal loro reclutamento nell’esercito francese fino all’indipendenza dell’Algeria nel 1962. Dopo la partenza dalla Francia, diverse decine di migliaia di loro, considerati dalla popolazione come traditori, furono assassinati in Algeria. Altri furono rimpatriati in Francia in condizioni deplorevoli, nonostante la promessa del presidente Charles de Gaulle di non abbandonare mai coloro che combattevano per la Francia.

Anche se il film di Philippe Faucon dedica gran parte della sua storia alle operazioni militari, il regista considera il suo film soprattutto come una storia umana. “È una storia di uomini coinvolti in una guerra, di uomini in contatto con cose forti ma che hanno poche possibilità di esprimerle”. Due dei suoi personaggi, Salah e Kaddour, si uniscono all’esercito francese senza convinzione, per sfamare le loro famiglie. Una scelta che susciterà in loro sentimenti ambivalenti, nei confronti della Francia, di cui dubitano dell’appoggio, ma anche dei paesani che ora li percepiscono come una minaccia. Anche il loro colonnello, Pascal, è combattuto tra la sua gerarchia militare, che desidera partire velocemente, e le sue truppe, che non riesce ad abbandonare. 

“Invece di portare un aspetto da documentario, volevo, attraverso la finzione, attraverso l’incarnazione, cercare di raggiungere le persone che non conoscono questa storia“, spiega Mathieu Vadepied. “Spettava a me collocare una narrazione intima in un contesto storico più ampio e più ampio”.

Una scena tratta da “Les Harkis” di Philippe Faucon

Nella trattazione dei rispettivi soggetti, i due lungometraggi mostrano un’estetica sobria, che contrasta con i grandi mezzi solitamente impiegati per produrre film di guerra. “Il mio obiettivo era ottenere qualcosa di molto artigianale e intimo… senza effetti magniloquenti, carrellate o droni”, indica Mathieu Vadepied, credendo di poter così attenersi il più possibile alla storia dei suoi personaggi.

Philippe Faucon spiega che la forma del suo film riflette una scelta artistica ma anche vincoli di budget. “Avevamo tempi di ripresa limitati per motivi economici. Abbiamo dovuto lavorare in modo conciso e molto selettivo durante le riprese e le sequenze. Ma la scelta della semplicità è anche una scelta deliberata. Abbiamo voluto raccontare questa storia senza cercare effetti o emozioni forzate. “Cogliendo un passato che non passa, Philippe Faucon affronta con umiltà e realismo la violenza dell’era coloniale, le sue zone grigie e il suo non detto. “Les Harkis non è un film di guerra, né un film sulla guerra. Ci sono diverse ragioni per questo. Soprattutto, è un film sulla guerra d’Algeria: il suo soggetto, fin dal titolo, non ne fa mistero: storico e insieme appassionato, proveniente da un passato che non passa, da ferite mal rimarginate. 

Alla fine degli anni ’50, inizio anni ’60, la guerra in Algeria si trascina. Salah, Kaddour e altri giovani algerini indigenti si uniscono all’esercito francese come harkis. Alla loro testa, il tenente Pascal. L’esito del conflitto suggerisce l’imminente indipendenza dell’Algeria. Il destino degli harki sembra molto incerto. Pascal si oppone alla sua gerarchia per ottenere il rimpatrio in Francia di tutti gli uomini della sua unità.

Pietra angolare della sacralizzazione del generale de Gaulle da parte della storia della Francia, la guerra in Algeria resta comunque un episodio particolarmente oscuro. 

Lontani dal sensazionalismo che a volte aiuta a glorificare la guerra, “Les Harkis” e “Tirailleurs” cercano l’autenticità di storie scritte in un tempo doloroso. I loro due registi sperano così di suscitare il dibattito e contribuire a modificare la visione di queste pagine della Storia, ancora oggi così difficili da girare. Due film importanti, anche se purtroppo non riescono a suscitare le emozioni che le due storie meriterebbero.

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