Il sogno saudita dei migranti etiopi

di Valentina Milani

Si ripete la tragica notizia di migranti morti in mare: due giorni fa almeno venti persone sono morte lungo la costa dell’Africa orientale di Obock a Gibuti dopo che, secondo la ricostruzione dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), trafficanti di esseri umani li avrebbero “spinti fuori da una barca una volta al largo”.

Erano diretti verso lo Yemen, attraverso il quale molto probabilmente avrebbero tentato di raggiungere l’Arabia Saudita. In tutto, alla partenza erano circa 200. Yvonne Ndege, portavoce regionale dell’Oim, ha detto ai media locali che i trafficanti hanno gettato persone in mare, dicendo che la barca era sovraffollata. “La barca è partita da Oulebi, Gibuti, con 200 migranti, tra cui donne e bambini – ha dichiarato -. I trafficanti hanno iniziato a gridare che c’erano troppe persone a bordo e hanno iniziato a gettare persone in mare. I sopravvissuti sono in cura presso il Centro di risposta ai migranti dell’Oim a Gibuti”. Finora sono stati recuperati cinque corpi, ha aggiunto. Secondo l’Oim, questa è stata la terza tragedia del genere in meno di sei mesi.

Ogni anno migliaia di giovani migranti africani cercano di raggiungere i Paesi del Golfo. Il 92% di questi migranti sono etiopi: uomini, donne e ragazzini che si lasciano alle spalle le vaste zone rurali dell’Etiopia con la speranza di coronare il sogno del riscatto in terra saudita, un luogo ai loro occhi così promettente da indurli ad attraversare un Paese in guerra come lo Yemen. Il percorso si snoda infatti da alcune remote regioni etiopi (Tigray, Oromia, Amhara), ma anche dalla capitale Addis Abeba, verso tre principali punti di convoglio, affacciati sulla costa: Gibuti o la vicina Obock e Bossaso (Somalia). Chi opta per le due cittadine più settentrionali deve avventurarsi, per lo più a piedi, nel deserto della Dancalia per poi raggiungere lo Yemen via Mar Rosso con 6 ore di traversata, se tutto va bene. Chi invece passa per la Somalia deve fare i conti con il Golfo di Aden e almeno 24 ore su barche straripanti di un’umanità stremata. Percorsi che possono impiegare, in totale, poche settimane come qualche mese, dipende dalla disponibilità economica del migrante e dal grado di fortuna che veglia su di lui.

Si tratta di una rotta che per gli etiopi è decisamente più allettante rispetto a quella del Mediterraneo: è infatti più breve e meno costosa. Quasi tutti gli uomini sperano di poter lavorare, una volta giunti a destinazione, come braccianti agricoli o come pastori, puntando a guadagnare in media circa 600 dollari al mese che, agli occhi di chi è abituato a vivere con l’equivalente di 60 dollari mensili, non sono pochi. Le donne, invece, partono certe di essere ‘assunte’ come domestiche e, a differenza degli uomini, migrano spesso attraverso vie legali: numerose sono infatti le agenzie istituite appositamente per reclutare colf, una figura decisamente richiesta in Arabia Saudita.

Ad attirare, inoltre, molte persone nell’inganno dell’Arabia Saudita, vi è il fatto che la rotta del Corno d’Africa è avviata e decisamente più pubblicizzata rispetto a quella mediterranea. A stimolare e guidare, ammiccanti, il cammino sono infatti i cosiddetti smugglers, collaboratori locali delle diverse organizzazioni di trafficanti che infestano lo Yemen; a fare da motore la speranza, ma anche una buona dose di inconsapevolezza. «E’ stato mio cugino a consigliarmi di partire, quindi mi sono fidato: mi disse che in Arabia Saudita avrei trovato facilmente lavoro. Non mi sono fatto tante domande su come sarebbe stato il viaggio, mi interessava l’obiettivo: tornare dopo qualche anno in Etiopia, comprare una casa, una macchina e garantire una vita dignitosa ai miei figli. Dopo due giorni, sono partito senza dire nulla alla mia famiglia: li avrei contattati una volta giunto a destinazione», racconta Abdu Ahmad, 40 anni, il cui corpo sembra essere imploso, rosicchiato dalla sofferenza. Dopo qualche settimana, giunto in Yemen, quella telefonata, però, l’hanno fatta i trafficanti alla moglie: «35.000 Birr (circa 700 dollari) in cambio della vita di Abdu». L’uomo ripercorre i ricordi ancora spaventato, nonostante si trovi, finalmente al sicuro, nel centro di primo soccorso di MSF per migranti appena rimpatriati ad Addis Abeba, dove vengono garantiti pasti, indumenti e supporto psicologico.

Le restrizioni alla mobilità di covid-19 – secondo i dati Oim – hanno ridotto i viaggi ma non li hanno fermati; circa 138.000 persone hanno fatto il viaggio nel 2019, rispetto alle 37.500 del 2020. Nel gennaio 2021, oltre 2.500 migranti hanno raggiunto lo Yemen da Gibuti e il timore è che, con l’allentamento delle restrizioni, altri migranti siano in attesa di attraversare, aumentando la prospettiva di future tragedie.

(Testo Valentina Giulia Milani – Foto Alessio Perboni)

*prossimamente su Africa Rivista il reportage completo, con foto e diverse testimonianze.

Condividi

Altre letture correlate: