Il genio sudafricano

di claudia

Elon Musk è capace di realizzare cose ritenute impossibili. Ha fondato PayPal, Tesla e SpaceX. È considerato tra le persone più influenti e facoltose del mondo. E promette di portare l’umanità su Marte. Ma deve fare i conti con i fantasmi del suo passato. Alla scoperta delle radici africane di Elon Musk, l’imprenditore che inventa il futuro

di Marco Trovato

Due mogli, sei figli, 35 milioni di follower su Twitter, 29 miliardi di dollari di patrimonio personale. Sono alcuni dei numeri vantati dall’imprenditore sudafricano Elon Musk, tra i più acclamati personaggi pubblici del momento. Istrionico profeta della green technology, ha inventato mezzi di trasporto avveniristici capaci di mostrarci il futuro. Una mente brillante e visionaria che a soli 8 anni aveva già letto l’intera Enciclopedia Britannica e a 12 aveva sviluppato un videogioco capace di fruttargli 500 dollari. Oggi giornali e tivù di tutto il mondo lo acclamano tre le persone più influenti e facoltose del mondo. Un genio ribelle capace di osare e realizzare cose ritenute impossibili.

Infanzia difficile

Benché abiti a Bel Air, quartiere esclusivo di Los Angeles, e abbia fondato il suo impero in California, non è un enfant prodige della Silicon Valley. È nato il 28 giugno 1971 a Pretoria, Sudafrica. In piena apartheid. Figlio di un ingegnere sudafricano e di una modella canadese, è cresciuto in un ambiente blindato e inquieto, quello della minoranza bianca, isolata e nervosa, alle prese con le crescenti rivolte della popolazione nera e con le sanzioni economiche dell’embargo internazionale. Ha respirato l’aria avvelenata del regime segregazionista. Violenze e tensioni hanno segnato la sua infanzia. Aveva cinque anni quando i poliziotti bianchi spararono sugli studenti di Soweto uccidendo 176 giovani. All’età di nove fu pestato a sangue da un gruppo di bulli che lo scaraventarono giù dalle scale della scuola, mandandolo in ospedale. Nello stesso anno i suoi genitori divorziarono. Non proprio un’infanzia da sogno, quella di Elon Musk. Comprensibile che con il suo Paese natio abbia mantenuto rapporti flebili e freddi.

Catena di successi

Appena ha potuto, conclusi gli studi in un college per l’élite bianca sudafricana, è volato lontano – prima in Canada, poi negli Stati Uniti –: per fuggire da un clima diventato irrespirabile. E per realizzare i suoi sogni. Era il 1989: l’anno prima della liberazione di Nelson Mandela.

Laureatosi in economia e fisica all’Università della Pennsylvania, ha avviato la sua inarrestabile scalata al successo nel mondo degli affari e della ricerca. È stato tra i fondatori di PayPal, il colosso dei pagamenti digitali. Ha creato l’auto elettrica più sofisticata e ambita di sempre, la Tesla, un costosissimo gioiello tecnologico che lo ha reso ricco e famoso. Ha fondato la società Space X con lo scopo di portare l’umanità sul pianeta Marte prima della fine del secolo. Ha lanciato altre imprese di successo: Neralink (startup di neurotecnologie specializzata in collegamenti tra cervello umano e intelligenza artificiale); Boring Company (azienda di infrastrutture, crea tunnel sotterranei per ridurre il traffico); SolarCity (fornitore di energia pulita). E non ha intenzione di fermarsi. «Ho una missione da portare avanti: inventare il futuro dell’umanità», ha dichiarato Musk, che ha acquisito anche la cittadinanza canadese e americana.

Elon Musk, 49 anni, numero uno di Tesla, colosso delle auto elettriche, è leader incontrastato dell’industria automobilistica mondiale. Benché produca poche centinaia di migliaia di vetture l’anno, la sua azienda vale più del doppio della somma di General Motors, Ford e Fiat Chrysler

Questione razziale

Il Sudafrica è certo lontano dal suo orizzonte. Ma ogni tanto gli rendono visita i fantasmi del passato. È stato accusato di aver avviato il suo impero grazie ai “soldi sporchi” del padre Errol, “un convinto sostenitore dell’apartheid”, “sfruttatore di manodopera nera in una miniera di smeraldi”. «Una bugia terribile», ha twittato indignato Elon, che pure ha rilasciato giudizi severi sul padre. «Ho lasciato il Sudafrica a 17 anni con uno zaino e una valigia di libri. Per pagarmi da vivere ho lavorato nella fattoria di mia cugina e in una segheria. E ho potuto studiare all’università grazie a una borsa di studio».

I suoi ammiratori lo considerano un guru progressista, i detrattori lo additano come un affarista controverso, interessato solo ai soldi, amico dei repubblicani. In piena emergenza sanitaria per la pandemia si è schierato con Donald Trump, scagliandosi contro il lockdown e accarezzando le teorie complottiste sul coronavirus. Non ha mostrato imbarazzo, malgrado le oltre 130mila vittime accertate. Ha invece chiesto scusa pubblicamente per i comportamenti discriminatori denunciati da alcuni lavoratori neri delle fabbriche Tesla.

La questione razziale si è incrociata più volte con la storia personale di Musk. Lo scorso 30 maggio, mentre al Kennedy Space Center si accendevano i reattori del suo razzo diretto alla Stazione Spaziale Internazionale – un evento seguito in tutto il mondo che ha celebrato il successo planetario del genio sudafricano –, in America divampava la rabbia della comunità afroamericana per l’omicidio di George Floyd, ucciso da un poliziotto di Minneapolis. Musk si è affrettato a diffondere messaggi di solidarietà coi manifestanti e di denuncia della brutalità della polizia, twittandoli con l’hashtag #JusticeForGeorge.

(Marco Trovato)

Questo articolo è uscito sul numero 5/2020. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop.

Condividi

Altre letture correlate: