Dal basket alla poesia, le molte vite di Judicael

di Stefania Ragusa

Il prossimo libro è in dirittura d’arrivo. Questione di settimane, spiega. Potrebbe intitolarsi Loro e racconterà la storia di un uomo che, dopo aver passato molto tempo in Europa patendo per il razzismo e il senso di esclusione, torna pieno di aspettative nella sua città d’origine, in Burkina Faso, ma trova una società molto diversa da quella che ricordava, «intrisa di capitalismo», scoprendo sulla propria pelle  di non appartenere più, al cento per cento, a nessun mondo. Loro sono quelli che hanno fatto questa esperienza. Loro sono tanti. «Perché una volta partiti, si finisce per sentirsi in prestito ovunque», spiega Judicael Ouango. «Non è un fatto che riguardi solo gli africani e non fa troppa differenza la ragione per cui si è andati via. E’ un sentimento universale, con cui si trovano a fare i conti tutti quelli che hanno avuto un’esperienza di migrazione».
Quando arriva a Napoli, nel 1999, Judi (come lo chiamano tutti) ha appena 19 anni e – spera – una carriera da cestista davanti. Ha lasciato il Toulouse Basket con l’idea di raccogliere una nuova sfida e cimentarsi in un campionato più bello. Le cose però si mettono male rapidamente. Con la rottura del legamento crociato comincia una lunga trafila ospedaliera dall’esito amaro: addio al canestro. Potrebbe, a quel punto, ritornare a casa.  I suoi genitori sono professionisti benestanti (il padre è psichiatra e lavora per l’OMS, la mamma ha un impiego in banca) e la famiglia non ha certo bisogno del suo contributo per andare avanti. Ma l’Europa non è mai solo un progetto economico. Rientrare a mani vuote avrebbe rappresentato un fallimento.
Judi resta a Napoli e comincia per lui una nuova trafila: quella dei mestieri precari e sottopagati dei migranti. Raccoglie la frutta, fa il parcheggiatore abusivo, il muatore e vari altri lavori in nero. Piano piano riesce a mettere insieme i soldi per tornare una prima volta a Ouagadougo, dove prova lo straniamento di cui sopra. Ritorna a Napoli e, a pochi passi dalla centralissima piazza Bellini, apre il Teranga, un bar che è anche un caffè letterario, un centro sociale e la base di un’associazione che aiuta i migranti, in particolare quelli affetti da disturbi mentali. «Volevo un posto in cui qualsiasi persona, africana o meno, potesse entrare e sentirsi bene. Tra quelli che sono entrati e si sono sentiti bene c’è stato anche Erri De Luca».
Teranga è una parola wolof, che si riferisce alla concezione senegalese dell’ospitalità. «Da bambino ho vissuto vari anni a Dakar, ma la scelta del nome non è stato tanto un omaggio al mio passato quanto al mio continente. Teranga, insieme a ubuntu, è oggi uno dei due concetti trasversali  che meglio esprimono l’africanità in ciò che ha di più bello e filosoficamente prezioso.  Per lo spazio che avevo immaginato non poteva esserci un nome più adatto».

Ma c’è un’altra cosa che assorbe Judi: scrivere. Dopo tanti anni maneggia perfettamente l’italiano e lo sceglie come lingua di espressione per i suoi racconti, le sue poesie, la sua prosa poetica, il suo mondo interiore e le sue esperienze. Nel 2011 decide di andare oltre. Fonda una piccola casa editrice, Macchia di Colore, che pubblica il suo primo libro, Dunia, quelli di altri autori africani e realizza anche la produzione di lavori teatrali. «Per il momento siamo fermi. Il mio ultimo libro è stato pubblicato da Rogiosi nel 2018. Si intitola Tuio, che non è un termine burkinabe come ha immaginato qualcuno, ma un neologismo frutto della fusione tra il tu e l’io, un modo di far capire che non può esserci un io che non sia in relazione a un tu».
Tuio racconta la storia di Judi ma non è una biografia. Il suo percorso, dal Burkina all’Italia, appare quasi un espediente letterario, il pretesto per dispiegare il tema universale del viaggio, della diversità e della relazione. Tuio è anche l’occasione per riflettere sulle dinamiche del presente e del razzismo. Questonon rappresenta, dice Judi, un tumore apparso in un corpo sano ma, ahimé, è una delle tante, ulcere purulente che affliggono un organismo malandato. «Così oggi è l’Italia. Rendersene conto è importante se vogliamo fare davvero qualcosa per arginare la crisi morale e sociale che sta affossando questo paese, una questione che riguarda tutti, migranti e autoctoni, e che si manifesta a vari livelli».
In attesa di leggere Loro (ammesso e non concesso che il titolo resti questo), per incontrare Judi basta fare un salto al Teranga.

(Stefania Ragusa)

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