Covid-19 | Etiopia, il Paese che non sta a guardare

di AFRICA

Dallo scorso 28 marzo al 14 aprile in Etiopia i casi di coronavirus sono aumentati da 12 a 82. La pagina Facebook del ministero della Salute etiopico aggiorna puntualmente l’andamento della situazione: numero dei test condotti, numero dei contagi e dei ricoveri, profilo dei contagiati. Nel frattempo il governo ha aumentato le misure restrittive e di supporto per il contenimento del contagio.

I numeri 

Questi i numeri aggiornati: 4557 i test condotti, 82 i positivi, 3 i decessi. I dati dicono che il profilo del potenziale contagiato sta cambiando. Inizialmente si trattava principalmente di stranieri. Dopo le restrizioni imposte da numerosi Paesi e i blocchi delle tratte aeree, il profilo oggi corrisponde maggiormente a viaggiatori di cittadinanza etiope, perlopiù uomini provenienti da Dubai, Turchia, Usa, Canada, Inghilterra. Ma il dato significativo è quello relativo a casi di soggetti senza alcun trascorso di viaggio all’estero o che pare non abbiano avuto nessun contatto con soggetti affetti dal virus. Questo è un dato preoccupante. Aumenta così l’attenzione del governo nel tentativo di rendere più capillari i controlli e i test nelle regioni: non è casuale, quindi, che l’8 aprile abbia decretato lo stato di emergenza per una durata di 5 mesi rendendone noti i dettagli pochi giorni dopo.

E il governo che fa?

Questo nuovo assetto comporta ulteriori provvedimenti che si attengono alle linee guide dettate dal ministero della Salute. Fra le varie restrizioni già applicate in precedenza si aggiungono, tra gli altri, il divieto di licenziare i lavoratori dipendenti del settore privato, il divieto di sfrattare gli inquilini e di aumentare gli affitti e il divieto di assembramenti di più di quattro persone. Consentiti invece l’utilizzo al massimo del 50% dei posti a sedere nel trasporto pubblico e privato e del 25% dei posti a sedere della linea ferroviaria Etiopia-Gibuti. E c’è l’obbligo per tutti coloro che lavorano a contatto con il pubblico di coprire la bocca e il naso con mascherine commerciali o fatte a mano o semplicemente con stoffe.

Politica e mercati

Intanto a livello politico le elezioni parlamentari, già posticipate ad agosto causa pandemia, sono state posticipate ulteriormente a data da definire. Tra gli aspetti che destano preoccupazione, oltre a quello strettamente sanitario ci sono la gestione dei mercati informali, la lotta all’aumento del prezzo dei generi di primo consumo e la gestione dei flussi di lavoratori pendolari provenienti dalla regione Oromia che contorna Addis Abeba, città autonoma a maggioranza amhara.
Ma andiamo con ordine. I mercati informali non sono regolamentabili per loro natura. Sono sempre affollati e soddisfano una sussistenza economica alla giornata che non può essere riequilibrata nei suoi scompensi dall’oggi al domani. C’è quindi consapevolezza dell’impossibilità di bloccarli: Addis Abeba vive delle merci che importa dalle altre regioni. La dislocazione pare essere dunque l’unica misura applicabile. Così, ad esempio, per il mercato di frutta e verdura più grande della capitale, Atilkit Terà, si è pensato a una ricollocazione in un’area più grande, Gial Meda, dove sarebbe possibile mantenere le distanze di sicurezza. La proposta del lockdown per la capitale è stata invece subito scongiurata dal vicesindaco Takele Uma che, in un’intervista del 5 aprile, ha ribadito l’impegno economico per le misure di prevenzione (600 milioni di birr) e il coinvolgimento di un gran numero di volontari (circa 30mila) in attività di sensibilizzazione e fundraising. Il lockdown è invece un’ipotesi da scartare, almeno per il momento, per le migliaia di lavoratori pendolari impiegati nell’edilizia in questa città-cantiere che si regge sulla manovalanza a basso costo, giovane e marginalizzata.

Speculazione e pugno di ferro

La paura di un’evoluzione drammatica e del lockdown fino ad ora scongiurato ma anche il rischio di acquisti compulsivi dettati dal panico sono fattori che, a livello locale, stanno contribuendo all’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. E poi c’è anche la speculazione in senso stretto. Un numero telefonico apposito a disposizione dei cittadini è stato attivato per segnalare eventuali irregolarità. Ed è così che alcuni commerciati, avendo aumentato il prezzo del teff, cereale alla base dell’alimentazione, sono poi stati denunciati (e in certi casi è stata imposta la chiusura dell’attività).
Ad Addis Abeba, epicentro della diffusione del virus nel Paese, si concentrano gli sforzi del governo, ma l’obiettivo rimane il contenimento sia nella capitale che nel resto delle altre regioni. Una buona notizia è certamente la donazione della Bill Gates Foundation (200 milioni di birr solo per la città di Addis Abeba: il vicesindaco ha ringraziato calorosamente via Twitter). Intanto la ministra della Salute Lia Tadesse ha fatto sapere che sono in arrivo altri ventilatori polmonari in aggiunta ai 435 precedentemente in dotazione, di cui alcuni non funzionanti, e che sono stati attivati corsi di formazione per avere più personale medico in grado di usarli. Il primo ministro Abiy Ahmed Ali ha poi sottolineato l’importanza di una produzione nazionale di mascherine, per cui molte industrie hanno convertito la loro produzione secondo questa necessità. È il caso dell’Industrial Park ad Hawasa, che sta quintuplicando la loro produzione, da 10mila a 50mila al giorno.

Preghiere private

Tante le difficoltà ma anche molti gli sforzi. Chiese e moschee non sono più aperte ai fedeli, esortati a dedicarsi alla preghiera privatamente. La Pasqua ortodossa si avvicina, così come la fine del digiuno. Si percepisce fibrillazione per i preparativi di domenica prossima. Dopo qualche giorno inizierà il ramadan. Vedremo come la consuetudine si adatterà alle necessità dettate dal particolare momento.

(Marta Guastella)

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