Braccianti agricoli, il ruolo dei migranti nelle nostre piantagioni

di Marco Trovato
Tra sfruttamento, infortuni, caporalato ed emersione del lavoro nero, ecco la fotografia aggiornata del lavoro dei migranti nei campi italiani. Dove l’Africa è una presenza irrinunciabile

Le braccia degli immigrati, e quelle degli africani in particolare, continuano ad essere fondamentali nel sostegno dell’agricoltura italiana, seppure in totale numericamente in calo di oltre duemila unità rispetto ad un anno prima. Tuttavia la flessione è solo apparente perché i 368 mila lavoratori registrati a fine 2019 hanno svolto un uguale numero complessivo di giornate lavorate, calcolate dalla Coldiretti in 30 milioni. Alla tenuta complessiva del sistema hanno contribuito due fatti specifici, l’introduzione di un nuovo doppio binario di cassa integrazione  e l’attivazione delle procedure di emersione dal sommerso rese possibili dal nuovo decreto legge e sfruttate soprattutto dai marocchini.

Tra le nazionalità africane che compaiono nell’elenco dei 13 Paesi del mondo che più offrono braccia ai nostri lavori nei campi i marocchini con 35.787 presenze occupano il 2° posto dietro ai rumeni, leader assoluti, che ne vantano 98.011. Al 5°, 6°e 7° posto seguono nell’ordine senegalesi, tunisini e nigeriani, rispettivamente con 15.736, 12.947 e 11.631 presenze. Più staccati, al 12° e 13° posto, stanno maliani con 7.724 e gambiani con 6.721. E sono proprio il Gambia , con il 24 per cento di coltivatori in più, la Nigeria con il 20 e il Mali con il 12, a guidare la classifica delle Nazioni che sono rappresentate in modo più numeroso rispetto all’anno precedente, con incrementi in valore assoluto anche superiori a quelli registrati da India e Albania che pure sono 3° e 4° nella classifica dei più numerosi braccianti.

Eccezionale è la performance del Senegal, tanto più se valutata nei 7 anni intercorrenti tra 2013 e 2019, periodo in cui ha triplicato la sua presenza. Il tutto è ancora più significativo poiché nel contempo le più importanti nazionalità comunitarie, ovvero rumeni, polacchi e bulgari, hanno segnato significative flessioni. In un anno i rumeni in particolare hanno perso oltre 9500 unità, a fronte di 1571 senegalesi in più e di 1922 nigeriani in più. I maliani sono cresciuti di 813 e solo i tunisini sono calati, seppure di sole 159 unità, neppure il 2% in meno del loro totale.

Scomponendo ulteriormente questi dati statistici pubblicati or ora dall’Idos, i braccianti marocchini risultano soprattutto concentrati in Veneto, Emilia Romagna e Campania, e in particolare nelle province del nord Italia se però consideriamo soltanto coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato. Verona, Salerno e L’Aquila offrono invece più tempi determinati. I senegalesi lavorano quasi tutti con tempi determinati, soprattutto in Emilia Romagna, Puglia e Toscana, con punte nelle province di Foggia, Ravenna e Forlì. Marocchini e senegalesi sono anche coloro che hanno subito i maggiori infortuni sul lavoro.

Ultimi dati sui loro redditi, che però riguardano gli immigrati al lavoro in Italia, in generale, e non soltanto nel campo agricolo. Marocchini, senegalesi, egiziani e tunisini sono coloro che tra gli africani dichiarano i redditi annui pro capite più alti, oscillanti tra i 12mila e i 14mila euro. I marocchini costituiscono l’8 per cento dei contribuenti stranieri, mentre le altre nazionalità si attestano attorno al 2 di una classifica che non contempla i principali Paesi Ue e americani.

(Mario Ghirardi)

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