Sudafrica, i saccheggi delle proteste e quelli della politica

di Stefania Ragusa

Il Sudafrica è in ginocchio e tutto fa temere che la situazione non migliorerà a breve. È questo l’adagio che va per la maggiore sui quotidiani sudafricani in questi giorni, che raccontano una nazione andata molto oltre il punto di rottura sociale. Una ferita che, con il passare delle ore e l’aggravarsi delle proteste, rischia di essere insanabile e per la quale la politica sudafricana ha una responsabilità enorme. Come ne hanno i gruppi criminali, la pandemia e la crisi economica che ne consegue.

I disordini sono cominciati una settimana fa, mercoledì 7 luglio, in seguito all’arresto per reati di corruzione dell’ex-presidente Jacob Zuma, che dovrà scontare una condanna a 15 mesi. Oltre alla gestione semi-oligarchica e fortemente corrotta della cosa pubblica, comprovata dalle indagini e dalle sentenze non solo contro Zuma ma contro l’intera classe politica sudafricana, la reazione politica alla sentenza è stata violenta, con l’incitamento alla rivolta da parte dei sostenitori di Zuma, tra cui sua figlia Duduzile Zuma-Sambudla e un dj radiofonico locale di nome Ngizwe Mchunu, che hanno gettato benzina sul fuoco. Proteste, violenze e saccheggi interessano ancora oggi le province del KwaZulu-Natal e del Gauteng, dove si trova la capitale economica Johannesburg.

Sono due gli elementi principali alla base delle proteste: una “rete criminale organizzata che ha trovato opportunità nell’incarcerazione di un esponente politico”, come scrive il regista e giornalista Richard Poplack sul quotidiano Daily Maverick, e l’instabilità causata dalla disperazione di un popolo schiacciato dalla corruzione, divenuta insostenibile a causa della crisi economica provocata dalla pandemia e dalle restrizioni imposte per tutelare la salute pubblica. Un terzo elemento fa da contorno a questa situazione esplosiva: l’impotenza della polizia, rivelatasi totalmente impreparata ad uno scenario simile nonostante da anni la polarizzazione della società sudafricana e la corruzione a tutti i livelli abbiano rivelato con chiarezza la profonda crisi alle fondamenta della “nazione arcobaleno”.

Nonostante ciò che può sembrare da fuori, le violenze non sono casuali ma seguono una logica ben precisa e, a ben guardare, molto vicina a quella che governa i conflitti: la violenza ha preso di mira in particolare i nodi vitali della distribuzione dei beni di prima necessità. La capacità logistica nel fiume Mooi, il cibo locale e i negozi di prodotti secchi in tutto l’eThekwini, i grandi centri commerciali e i magazzini lungo la costa fino a Pietermaritzburg. L’agenzia assicurativa statale Sasria dovrà coprire parte dei costi per riparare i danni, il che alla fine significa che saranno i contribuenti sudafricani a fare da garanti. Ma quelli economici non saranno gli unici costi da sostenere: l’intera catena di approvvigionamento sudafricana è sotto scacco. Secondo molti analisti sudafricani, sotto la copertura dell’incarcerazione di Zuma, la rete di gangster locali ha l’opportunità di mostrare i muscoli alle autorità ed alla società: “siamo qui, fermateci se potete”. Il problema è che la risposta dello Stato è stata blanda, insicura e in ritardo.

La verità è che Zuma è un politico pensionato senza alcun potere, il suo consenso è praticamente svanito con la fine dell’esperienza politica e la sua famiglia non è composta da persone realmente influenti e ben formate disposte a tutto per mantenere il controllo sui soldi e sul potere politico. È l’eredità politica di Zuma ad essere il problema, costituendo il substrato delle proteste: l’ex-presidente ha governato con uno stile retorico fortemente “populista” ma avvicinandosi contemporaneamente alle elite liberali, e non, della società bianca. Questo ha attirato sul potere fortissime critiche dell’Anc, l’ex-partito di Mandela, il quale tuttavia non è esente da casi clamorosi di corruzione, come anche qui dimostrano i tribunali, e che non mostra, con Ramaphosa, alcuna buona capacità di governo. La “tangentopoli” sudafricana ha preparato il terreno al caos, a una rete di gangster e di oligarchi in lotta per il controllo dell’economia. In Sudafrica, oggi, non c’è niente da perdere: le violenze e i saccheggi vogliono azzerare tutto, lanciare un segnale ai vecchi monopoli economici e aziendali creando un vuoto che prima o poi sarà da colmare.

Ne è un esempio il settore logistico nel KwaZulu-Natal, attualmente completamente bloccato: le strade sono sotto il controllo di gruppi criminali e bande armate ben organizzate che, secondo molti, sono al soldo di vere e proprie mafie. Che sfruttano la disillusione, la fame, la rabbia, la disoccupazione: chi saccheggia oggi fa parte di una sottoclasse economica che è stata umiliata per generazioni e il cui esempio è sempre stato rappresentato da una classe politica corrotta. Saccheggio per saccheggio. In questa polveriera pronta ad esplodere, come e peggio delle violenze xenofobe del 2008, delle elezioni del 2009 e delle proteste del 2013, la pandemia ha acceso la miccia: per il secondo inverno australe consecutivo il Sudafrica è alle prese con l’ennesima ondata pandemica e le restrizioni sono diventate insopportabili in un paese dove, in epoca pre-covid, la disoccupazione era al 50%, con tre giovani su quattro senza alcuna prospettiva. La risposta del governo al covid ha distrutto definitivamente la credibilità delle istituzioni, ha rotto qualcosa nel patto sociale sudafricano e non basta la polizia, composta da agenti poco motivati, sottopagati e scarsamente formati, a recuperare: ci vuole l’esercito.

Nel frattempo le milizie bianche sono riemerse dall’oscurità per proteggere quelle proprietà private e pubbliche abbandonate al loro destino dalle istituzioni, senza farsi troppi problemi a sparare. In tutto questo tra pochi mesi, ad ottobre, si terranno le elezioni amministrative comunali: il rischio, di nuovo, è che un possibile spostamento dell’appuntamento possa ulteriormente inasprire i toni ma anche che queste possano essere facilmente manipolabili, in una società rabbiosa e polarizzata come il Sudafrica di oggi.

La partita, oggi, si gioca tutta sulla violenza e sul controllo. È un braccio di ferro e rischia di diventare una macelleria.

(Andrea Spinelli Barrile)

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