1959, nasce l’Africa. L’Italia non se ne accorge

di Marco Trovato

Nel 1959 a Roma si ritrova l’intellighenzia di un continente che sta vedendo avverarsi il sogno della libertà. Nell’indifferenza generale. Alla vigilia della grande stagione delle indipendenze, suggellate nel 1960, i più affermati intellettuali africani si radunarono a Roma per celebrare l’orgoglio della cultura nera e discutere quale strada imboccare per la decolonizzazione. Fu un evento storico, ma l’Italia della Dolce Vita era distratta…

di Mario Giro

1959: insolita tappa italiana prima dell’Anno dell’Africa. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile di quell’anno si tiene a Roma il 2° Congresso mondiale degli scrittori e artisti neri. Il primo si era celebrato a Parigi nel 1956. Sono invitati a partecipare molti famosi rappresentanti della cultura “nera”, sia africana che americana o di altra provenienza come i Caraibi. Ci sono, tra gli altri, Frantz Fanon, Aimé Césaire, Sékou Touré, Amadou Hampâté Bâ, Léopold Sédar Senghor e così via. I convegnisti si radunano all’Istituto italiano per l’Africa e al Campidoglio. Sulla locandina c’è un disegno di Picasso fatto per l’occasione. Sono anche ricevuti in Vaticano da Giovanni XXIII, molto sensibile alle questioni postcoloniali e preoccupato per il futuro delle Chiese nel nuovo spazio indipendente africano.

Centocinquanta delegati

La storia della decolonizzazione africana è complessa e in parte ancora da scrivere. Sta di fatto che tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta si svolgono numerosissime conferenze internazionali “nere” (più di 50 tra il dicembre 1957 e l’ottobre 1965). Sono gli anni in cui, a parte le colonie portoghesi, tutta l’Africa subsahariana accede all’indipendenza, anche se nel caso del Sudafrica o della Rhodesia si tratta di indipendenze molto particolari, solo per i “bianchi” che da coloni si sono “travestiti” in autoctoni.

Gli europei ci hanno lungamente pensato, e concedono un’indipendenza controllata. La Francia proponeva il quadro comune della Comunità francese, che solo la Guinea di Sékou Touré rifiutò. Mentre la Gran Bretagna trattava a pezzi, usando la via bilaterale, anche se poi inseriva il tutto nel Commonwealth delle nazioni.

Un colono francese guada un fiume con l’aiuto di portatori in Senegal (tra i 17 Paesi africani che conquistarono l’indipendenza nel 1960). Foto Afp

Al 2° Congresso ci sono centocinquanta delegati e una rappresentanza dell’Unesco. Il tema era l’unità delle culture dell’Africa nera. Le comunicazioni e i dibattiti si concentrarono sui valori culturali dell’Africa subsahariana e sull’identità dei neri. Come si vede, un tema attuale anche oggi. In questo senso vengono analizzate anche la letteratura americana nera e la discriminazione razziale negli Stati Uniti, oltre che il colonialismo e la situazione dei neri in America Latina.

Dalla poesia alla politica

Alioune Diop, che funge un po’ da padrone di casa, apre celebrando la négritude. Il movimento mira al ripristino della dignità della razza nera e all’affermazione della sua identità: «La negritudine – dice – non è altro che la nostra umile e tenace ambizione per mostrare al mondo ciò che aveva specificamente negato: la dignità della razza nera».

Sono discorsi emozionanti, ma superati dalla realtà geopolitica che si sta formando. Lo stesso Senghor ne è perfettamente conscio: dalla poesia ora si deve passare alla politica. Difatti il vero tema ufficioso del congresso è la decolonizzazione. Il dilemma che attanaglia i partecipanti è quello della lotta armata: occorre accettare un’indipendenza offerta dal colonizzatore (octroyée, dicono i francofoni, cioè concessa), certamente pacifica ma dentro un quadro già predefinito, o invece è meglio pretenderne una totale, lottando come ha fatto la Guinea nel 1958, con il rischio di restare da soli o di cadere nella spirale della violenza? Si narra che a Roma lo stesso Fanon abbia convinto i fondatori dell’Mpla angolano, in un caffè nei pressi del Campidoglio, a iniziare la guerriglia.

C’è infine la questione del comunismo: si può accettare l’offerta di aiuto di Mosca e di Pechino, entrambe propense alla via delle armi? Non si cadrà da una forma di dipendenza a un’altra?

I partecipanti al 1° Congresso degli scrittori e artisti neri, tenutosi a Parigi nel 1956

Pubblica opinione distratta

Nelle risoluzioni finali delle varie commissioni, i partecipanti affermarono che la liberazione politica e l’indipendenza economica erano condizioni essenziali per lo sviluppo culturale dei Paesi africani. Sono tematiche che lacerano i delegati e che andranno avanti per decenni.

Per ora limitiamoci a osservare che, inaspettatamente e prima di compiersi, l’anno dell’Africa passa dall’Italia. Stupisce, oggi, quanto quella vicenda non fu quasi per nulla ripresa dalla stampa (salvo ottimi articoli del Tempo) e soprattutto che i delegati non furono ricevuti da nessuno di importante, tranne che dal Papa. Il massimo fu il messaggio di un sottosegretario. La Chiesa cattolica era più interessata del governo italiano a ciò che stava per compiersi sul continente. Era annunciata infatti una specie di rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo, iniziando con il livello multilaterale: alle Nazioni Unite ci sarebbe presto stati una cinquantina di voti in più…

Ma l’Italia del boom economico aveva già dimenticato l’Africa nera, anzi l’aveva proprio rimossa, poiché rappresentava un’eredità fascista da dimenticare. Nella pubblica opinione nessuno aveva interesse per l’Africa nera a quel tempo; al massimo qualcuno osservava quella araba, dove l’Eni stava iniziando a mietere i sui successi. Per il resto, l’interesse italiano era rivolto a nord: verso l’Europa che stava portando a tutti la tanto agognata prosperità. Quella del 1959 fu un’occasione persa per l’Italia, tanto più che si trattò anche dell’ultimo congresso di quel tipo. L’anno dopo, il “1960, Anno dell’Africa”, tutto cambiò: la guerra fredda gettò sui nuovi stati indipendenti (e sui suoi leader) il suo velo di realismo e condizionamenti. L’Africa sarebbe stata ciò che quel mondo le avrebbe permesso di diventare.

Foto di apertura: l’intellettuale francese Aimé Césaire, originario della Martinica, al 1° Congresso degli scrittori e artisti neri. Fu tra gli ideologi della negritudine, il movimento letterario, culturale e politico sviluppatosi nelle colonie francofone che ispirò le lotte africane per l’indipendenza

L’anno dell’Africa

Nel 1960, 17 colonie africane divengono indipendenti: è l’anno che sancisce l’emancipazione politica del continente. A sessant’anni di distanza, a partire da questa settimana e nei prossimi weekend, una memoria sintetica di quegli eventi. Ne è autore Mario Giro, collaboratore della nostra rivista, docente di geopolitica, ex ministro degli esteri, membro della Comunità di Sant’Egidio, per la quale si occupa di Africa e di mediazione dei conflitti.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 4/2020 della rivista Africa. Per abbonarsi alla rivista, approfittando delle promozioni in corso, clicca qui

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