Una scoperta allarmante sull’origine dell’ultimo focolaio di ebola in Guinea

di Valentina Milani
ebola

Uno studio portato avanti da un pool di ricercatori di diverse università africane e europee ha evidenziato un dato inaspettato sull’ultima epidemia di ebola in Guinea Conakry: il dato riguarda un’alta probabilità che a innescare il nuovo focolaio di ebola non sia stato un nuovo passaggio da animale a uomo, ma il risveglio del virus dormiente all’interno di un organismo umano che lo stava ospitando.

La scoperta arriva dopo 29 casi e 13 morti, e solleva nuove domande sulla capacità di questo virus di restare silente nel corpo di persone apparentemente sane. Non a caso i ricercatori autori della scoperta hanno titolato il loro paper in questi termini: La recrudescenza del virus Ebola in Guinea dopo 5 anni richiede un’attenzione particolare ai sopravvissuti senza creare ulteriore stigmatizzazione.

Sette anni dopo la dichiarazione della prima epidemia di malattia da virus ebola in Guinea, il paese sta affrontando una nuova epidemia di Ebola in una città situata a soli 200 km dall’epicentro della precedente epidemia. “Al fine di discriminare se questo nuovo focolaio sia stato causato da un nuovo evento di trasmissione zoonotica o dalla recrudescenza del ceppo virale circolato nella precedente epidemia dell’Africa occidentale, il sequenziamento dell’intero genoma è stato tentato al Cerfig di Conakry, in Guinea”, scrivono gli autori dello studio, che è stato pubblicato per la prima volta su virological.org

Il modello ottenuto “mostra chiaramente che il nuovo focolaio è il risultato della recrudescenza di un ceppo che in precedenza circolava nell’epidemia dell’Africa occidentale dal 2013 al 2016. Il ramo inaspettatamente breve che porta ai genomi Ebov guineani del 2021 suggerisce un marcato rallentamento del tasso di sostituzione, che potrebbe essere dovuto alla latenza in un sopravvissuto”

L’origine umana dell’attuale epidemia e il cambiamento associato nella nostra percezione dell’emergenza di Ebov richiedono un’attenzione particolare ai sopravvissuti, dicono i ricercatori. La possibilità di recrudescenza dell’Ebola, fino a 5 anni o più, apre nuove sfide per i sopravvissuti, le loro famiglie e le loro comunità ma anche per il sistema sanitario che deve creare modi per lavorare con le comunità, sopravvissuti conosciuti e sconosciuti, senza creare ulteriore stigmatizzazione.

Dopo l’epidemia del 2013-2016, gli scienziati avevano scoperto che il virus poteva rimanere per lunghi periodi di tempo in alcuni siti “immunitari privilegiati” del corpo, inclusi il midollo spinale, il cervello, gli occhi, la placenta e i testicoli. Non immaginavano però che il periodo di latenza potesse essere così lungo.

Fino ad ora il periodo più lungo in cui il virus è rimasto dormiente nel corpo e successivamente ha causato una nuova infezione è stato di 500 giorni, ha detto Miles Carroll, virologo e professore all’Università di Oxford che ha condotto il più grande studio al mondo sui sopravvissuti all’Ebola , che lo scorso anno aveva già osservato che l’immunità da il virus potrebbe durare molti anni dopo l’infezione.

“Avere un nuovo focolaio a partire da un’infezione latente cinque anni dopo la fine di un’epidemia è spaventoso e nuovo”, ha detto alla rivista Science Eric Delaporte, medico di malattie infettive dell’Università di Montpellier.

La scoperta ha profonde implicazioni per la ricerca sull’ebola e la messaggistica di salute pubblica sulle pratiche sessuali sicure per i sopravvissuti, affermano gli scienziati.

I dati iniziali hanno coinvolto ricercatori del ministero della salute della Guinea, dell’Istituto Pasteur del Senegal, dell’Università di Edimburgo, del Centro medico dell’Università del Nebraska e della società PraesensBio, e sono stati pubblicati per la prima volta sul sito web virological.org .

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