Tanzania, il parco naturale del Selous in pericolo

di claudia
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Il ricchissimo parco faunistico del Selous, in Tanzania, uno dei più grandi parchi naturali al mondo, è minacciato dalla costruzione di un’imponente diga idroelettrica, intitolata a Julius Nyerere e denominata “JNHPP”, che verrà terminata quest’anno. Si è accesa una disputa tra chi vuole usare l’acqua per produrre energia elettrica e chi vuole salvare il territorio da disastri ambientali. Sul piede di guerra adesso è sceso anche l’Unesco, ha cancellato il parco naturale dalla lista dei siti dichiarati ‘Patrimoni dell’umanità

di Mario Ghirardi

Le ragioni di chi vuole usare l’acqua per produrre energia elettrica si stanno scontrando ancora una volta, e questa volta in modo particolarmente duro, con le ragioni di chi vuole salvare il territorio da devastanti impatti ambientali. Siamo in Tanzania. Sul piede di guerra è adesso sceso l’Unesco, il braccio dell’Onu che tutela monumenti e territori di particolare significato ambientale. L’organizzazione internazionale, che di solito usa estrema cautela prima di prendere decisioni definitive, dopo avere a lungo tenuto sotto osservazione il ricchissimo parco faunistico del Selous, classificandolo a lungo fra quelli in pericolo di stravolgimento, nei mesi scorsi l’ha addirittura drasticamente cancellato dalla lista dei siti dichiarati ‘Patrimoni dell’umanità’ per il loro intrinseco valore storico, naturalistico e culturale.

Stiamo parlando non di una nicchia territoriale, bensì di un luogo esteso addirittura quanto la Svizzera (oltre 50 mila kmq), tra i più grandi parchi naturali esistenti al mondo, tanto vasto quanto è imponente nelle sue proporzioni il suo nuovo nemico che si è materializzato all’orizzonte, ovvero l’enorme diga che sarà praticamente completata entro il corrente anno sul fiume Rufiji, il più grande del Paese, nella Steigler’s Gorge, un canyon profondo 100 metri e largo altrettanto, a 220 chilometri a sud ovest della capitale Dar Es Salaam e dall’Oceano Indiano, nella regione di Morogoro, nel pieno appunto della Riserva del Selous.

La diga idroelettrica, la più maestosa di tutta l’Africa Orientale, nona al mondo e quarta nel continente per dimensioni , è intitolata al primo presidente della Tanzania post coloniale, l’indimenticato Julius Nyerere ed è nota con l’acronimo JNHPP. I lavori, iniziati tre anni fa, sono condotti da un consorzio di imprese egiziane, Arab Contractors Company e Elsewedy Electric, che si avvalgono di 9 mila operai di cui 8 mila tanzaniani. La colossale opera produrrà 2115 MW d’energia idroelettrica grazie a 9 turbine, con 5920 GW d’energia all’anno, per un costo complessivo di ben 2,9 miliardi di dollari, secondo i dati forniti dalle imprese stesse che operano in appalto per conto della Tanesco, società governativa. La diga ad arco in sommità è lunga oltre un chilometro, alta 131 metri e capace di contenere 34 miliardi di metri cubi d’acqua. Creerà un lago artificiale di 1200 chilometri quadrati e lungo più di 100 chilometri.

Il progetto della JNHPP, la più grande diga dell’Africa orientale

Il ponte principale che scavalca il fiume è lungo 250 metri con pilastri alti 50 metri, ed è servito anche a spostare le pesanti turbine tra le due sponde visto che può reggere il peso di 300 tonnellate. I lavori per realizzare 4 dighe a sella, argini ausiliari lunghi fino a 5 chilometri che consentono quasi di raddoppiare la capacità dell’invaso, stanno per essere completati anch’essi. Le strade di accesso permanenti hanno una lunghezza di 21 chilometri, un terzo di quelle create provvisoriamente, che comunque hanno messo anche loro sottosopra la zona finora vergine. Inoltre sono da considerare un vasto numero di costruzioni ausiliarie industriali e di soggiorno della forza lavoro, oltre alle lunghe linee elettriche. In totale sono stati scavati 4 milioni di metri cubi di terra.

Questa porzione di territorio porta il nome dell’ingegnere tedesco Stiegler, che ad inizio ‘900 ebbe l’idea di costruirvi un piccolo invaso per soddisfare i problemi di siccità segnalati dall’agricoltura locale. Dopo la sua morte dovuta all’attacco di un elefante, il progetto fu ulteriormente studiato, ma soltanto dopo l’indipendenza della Tanzania nel 1961 si pensò di attuarlo: non più con finalità agricole, ma per la creazione di energia idroelettrica di cui il Paese sentiva enorme bisogno a sostegno del suo sviluppo industriale. La diga tuttavia non fu mai finanziata dagli organismi internazionali, più propensi a sostenere la nascita di impianti di minore impatto.

Il primo ministro Jakaya Mrsho Kikwete riesumò tuttavia il progetto nel 2006 cercando di affidarlo senza successo a privati, finchè il suo successore John Pombe Joseph Magufuli, scomparso lo scorso anno, un decennio dopo cambiò rotta e lo volle finanziato direttamente dal governo locale, tra feroci polemiche focalizzate sul raddoppio dei costi preventivati e sull’incapacità governativa nel trovare sufficienti risorse economiche.

Ora che i lavori sono quasi al termine, le critiche tornano anche a parlare dei rischi legati al cambiamento climatico e alla siccità in particolare, oltre alla possibilità di significative e dannose sedimentazioni provocate dai detriti trascinati dal fiume e di elevati livelli di erosione attorno al bacino. Questi sedimenti, che finora nutrono i terreni sommersi da vaste inondazioni provocate dal Rufiji nella stagione delle piogge e collegano così i laghi della Riserva, da benefici diventeranno dunque negativi, impedendo l’accesso all’acqua agli animali selvatici e alterando l’ecosistema del delta del fiume, con la salinità delle sue acque in aumento a minacciare la più grande estensione di mangrovie di tutta l’Africa orientale qui esistente.

Allo stesso tempo sarà alterata per lo stesso motivo anche la popolazione di alghe marine che, riducendosi, genererà nel delta meno plancton, nutrimento dei pesci e dei mammiferi marini che qui si concentrano in stagione proprio per la grande disponibilità di cibo. In difficoltà saranno i pescatori, qui attivi soprattutto nella cattura dei gamberi, e anche gli agricoltori che perderanno risaie e terreni tra i più fertili dell’intero Stato.

Finora la Selous Game Reserve poteva godere di un piano di gestione come riserva di caccia con il 10 per cento della sua area a nord dedicata ai safari fotografici, recentemente scorporata e intitolata al presidente Nyerere. Perché la gestione dell’area sia sostenibile, occorre che le quote di abbattimenti siano accuratamente stabilite in modo scientifico, con un equilibrio assoluto tra esigenze economiche e ambientali. La zona è infatti interessantissima per la sua biodiversità sia dal punto di vista faunistico, sia dal punto di vista delle varietà arboree finora calcolate in 2100 senza contare quanto si può ancora trovare nelle vergini foreste del sud, dove è anche necessario mantenere un collegamento funzionale con la confinante Riserva di Niassa in Mozambico. La vegetazione dominante è quella costituita dai boschi di Miombo decidui, tra colline rocciose ricoperte di acacia, gallerie e foreste sotterranee, paludi e foreste pluviali di pianura. A causa di questa vegetazione, i suoli sono soggetti a notevoli erosioni in caso di piogge forti, con il risultato che una serie di caratteristici fiumi di sabbia normalmente asciutti diventano torrenti impetuosi.

Questi 50 mila chilometri quadrati sono un paradiso anche per gli animali. Qui si contano oltre 100 mila esemplari di elefanti (al lordo del diffuso bracconaggio degli ultimi anni), oltre 2000 rinoceronti neri (almeno così erano in origine, ma oggi si teme che il loro numero sia diventato esiguo) e una delle più grandi concentrazioni di ippopotami (18 mila), bufali (200 mila) e licaoni, parenti stretti di iene e sciacalli. Tantissimi gli ungulati, in particolare antilopi nere, kudu maggiore, alcefalo del Lichtenstein, eland, nyassa gnu, nonché coccodrilli del Nilo e 450 specie di uccelli, tra cui l’endemica pernice e l’uccello rosso del sole alato. Senza contare leoni, zebre, giraffe e ghepardi, altri ospiti fissi.

L’Unesco aveva dichiarato il Selous Patrimonio mondiale già nel 1982, esattamente 60 anni dopo la creazione del Parco nazionale, che è, per capirci, due volte più grande del Serengeti e quattro del Kruger sudafricano. Il ritiro della presenza Unesco la dice lunga sull’impatto che si prevede avrà la diga sull’intero ecosistema, dopo che già negli ultimi anni era stato segnalato dall’agenzia Onu il gravissimo fenomeno di un diffusissimo bracconaggio contro gli elefanti in particolare. Inoltre l’Unesco stigmatizza che siano state concesse nuove autorizzazioni per sondare la presenza di minerali quali l’uranio e giacimenti di gas e di petrolio.

Purtroppo, si tratta anche di una grave situazione tutt’altro che isolata in Africa. Problemi quasi in fotocopia li sta vivendo infatti l’ecosistema del largo Turkana in Kenya, dopo il recente completamento della diga conosciuta come Gibe III, di cui già abbiamo parlato nel dettaglio nei mesi scorsi, invaso che pure ha una capacità di stoccaggio d’acqua di appena un terzo di quanto è capace la JNHPP e che ciò nonostante mette a rischio la bassa valle del fiume Omo. Intanto in Etiopia si è completato il terzo riempimento di un’altra gigantesca diga, quella detta GERD, che ha scatenato le paure di Sudan ed Egitto sull’impatto che sta per avere sulle acque del Nilo, il cui flusso regolare è indispensabile per entrambi i Paesi.

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