Sud Sudan, vescovo Carlassare: “volevano intimidirmi, tornerò a Rumbek”

di Valentina Milani
vescovo rumbek

Il vescovo eletto Christian Carlassare perdona i giovani che lo hanno aggredito e ferito nella propria abitazione in Sud Sudan ed è pronto a tornare “a Rumbek un istante dopo essermi rimesso in piedi”, perché “se volevano intimidirmi, hanno ottenuto l’effetto contrario”.

“Se li perdono? Certamente. E lo faccio con tutto il cuore”, ha detto a Vatican News dal letto d’ospedale a Nairobi, in Kenya, dove è stato trasferito per le ferite riportate alle gambe. Per il vescovo eletto di Rumbek i due giovani “non hanno agito per una ragione contro di me”: “Sospetto che qualcuno gli abbia commissionato questo gesto. Dunque, mi sento di perdonare, come perdono chi li ha spinti a comportarsi così”.

Il missionario veneto ha quindi raccontato la dinamica dell’agguato:  “Ero già a letto quando ho sentito che qualcuno stava armeggiando con la porta d’ingresso. Mi sono alzato e ho cercato di capire cosa stesse accadendo. Dopo dieci minuti, le due persone armate di kalashnikov hanno iniziato a sparare contro il lucchetto della porta. A quel punto, ho iniziato a chiedere aiuto: tenevo ferma la porta con la mano e un piede mentre cercavo di riparami dietro ad un muro. Un sacerdote della diocesi di Rumbek, che vive con me, è uscito allarmato dalla propria stanza e io ho subito pensato che fosse meglio allontanarsi da casa per parlare con queste persone.  Appena fuori, in pochi secondi, il fucile puntato contro le mie gambe ha sparato sei o sette colpi, quattro dei quali mi hanno colpito”.

Secondo quanto riferito dall’agenzia Aci Africa, sono 12 le persone arrestate finora. Carlassare auspica che le indagini facciano chiarezza: “La mia impressione è che, sicuramente, il movente non può essere la rapina. Ma escludo anche l’omicidio perché, se avessero voluto ammazzarmi, l’avrebbero fatto con estrema facilità. Io penso che sia un atto intimidatorio, un avvertimento”.

Tra gli arrestati ci sono anche tre preti, tra cui il coordinatore diocesano, don John Mathiang. Secondo una fonte sentita da Nigrizia, rivista dei preti comboniani, la responsabilità di quanto accaduto sarebbe “di una porzione di Chiesa dinka, che chiamo ‘clan’, all’interno delle autorità ecclesiali locali. John Mathiang è solo una pedina di questo clan. Il vero mandante è più lontano ancora ed è collettivo. Si tratta di una frazione della comunità ecclesiale di origine dinka che vuole avere il suo peso nella Chiesa e nel paese, per mettere mano sulle sue ricchezze”.

In un’altra intervista rilasciata al Corriere della Sera, il vescovo ricorda che “gli abitanti della mia diocesi sono in maggioranza Dinka e io ho vissuto dieci anni con i Nuer, tanto da essermi guadagnato l’appellativo di ‘bianco-Nuer’”. Tuttavia, ha aggiunto, “prima di tutto sono un italiano-sudsudanese colpito dalla stessa violenza di cui loro sono vittime da decenni. Se volevano intimidirmi, hanno ottenuto l’effetto contrario”.

Il vescovo è pronto a rientrare nella sua diocesi “un istante dopo essermi rimesso in piedi”, perchè “la mia gente sta soffrendo più di me per quanto è accaduto e ripartiremo insieme, più forti e, spero, più saggi di prima”.

Carlassare ha ricordato anche che “tutto il popolo sud sudanese abbia sofferto molto in questi decenni”, per cui “il governo di unità nazionale deve essere portato in tutti i territori della nazione e deve essere condiviso anche da tutti i clan del Paese”.

E dal suo eletto di ospedale a Nairobi, padre Carlassare ha lanciato anche un appello al “mondo” perché mostri “solidarietà con il popolo sud sudanese e con i popoli di tutti i continenti, cercando di capire che questi casi isolati, che fanno tanto rumore, non devono farci perdere la speranza e renderci ciechi tanto da non vedere il buono che c’è nel mondo e, soprattutto, in Africa”. 

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