Sahel, la Francia pensa a un mini ritiro

di Enrico Casale
Soldato francia sahel

Scarsi risultati, paura di impantanarsi in un conflitto che potrebbe diventare più pericoloso, costi umani e finanziari troppo elevati: la Francia, ora, ha messo sul tavolo la possibile riduzione del suo contingente militare in Sahel. A quasi un anno dall’invio di altri 600 militari, Parigi è sul punto di ritirare un certo numero di soldati impegnati nella lotta e all’arginamento dello jihadismo. Una decisione – Parigi la giustifica così – che sarebbe conseguente all’invio da parte dei partner europei di nuove truppe, confermando, così, il rinnovato impegno del Vecchio Continente contro il terrorismo. Il presidente francese, Emmanuelle Macron, nei mesi scorsi, infatti, aveva chiesto un impegno maggiore dei partner europei, oltre che un rinnovato impegno dei paesi del Sahel. 

Le recenti visite in Mali, inoltre, dei ministri degli Esteri e della Difesa francesi, Jean-Yves Le Drian e Florence Parly, hanno contribuito a fare il punto dell’impegno francese nel Sahel, dove migliaia di soldati combattono dal 2014 all’interno della forza anti-jihadista Barkhane. «Ci stiamo avvicinando alla fine dell’anno, è il momento naturale per fare il punto sui progressi», ha affermato la ministra Parly a margine del suo viaggio. Macron aveva già promesso a luglio di fare un «punto a fine anno» sulla più grande operazione estera francese.

Tuttavia, secondo fonti concordanti, il ritiro di diverse centinaia di soldati francesi (su circa 5.100) è ora sul tavolo per tornare al livello precedente al mini surge (sforzo aggiuntivo e localizzato) di gennaio. Il «dossier prioritario per il personale», che potrebbe anche essere adeguato in funzioni «trasversali» (supporto, ingegneria, intelligence …), sta prendendo corpo, assicura una fonte militare che ha richiesto l’anonimato.

A gennaio, al vertice di Pau (Francia), il presidente francese e i suoi omologhi del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Ciad) hanno deciso di intensificare la lotta anti-jihadista di fronte a un aumento degli attacchi nel 2019, e al moltiplicarsi dei conflitti intercomunitari. L’operazione Barkhane ha ottenuto vittorie tattiche con i suoi partner locali, in particolare contro lo Stato Islamico nel Grande Sahara (Eigs) nell’area dei «tre confini»: Mali, Burkina Faso e Niger. «L’Eigs ha subito per diversi mesi una serie di perdite umane e privazione di risorse che l’hanno notevolmente indebolito, anche se dobbiamo rimanere cauti», ha detto il comandante di Barkhane, il generale Marc Conruyt. Ma i governi di questi Paesi, tra i più poveri del mondo, non riescono ancora a offrire protezione, istruzione e servizi di base alle popolazioni nelle aree più remote coinvolte nelle operazioni anti-terrorismo.

Il comandante dell’operazione Barkhane, ha poi aggiunto, che l’altra nebulosa jihadista attiva nella regione, il Support Group for Islam and Muslims (Gsim), affiliato ad al-Qaeda, «ha avuto la tendenza negli ultimi mesi a trarre vantaggio dal fatto che ci siamo concentrati molto sull’Eigs. Oggi il Gsim è il nemico più pericoloso per il Mali e le forze internazionali»

In Francia, questo sforzo militare a lungo termine sta sollevando molte domande e dubbi, in particolare sull’efficacia dell’operazione, tenendo conto che 50 soldati sono stati uccisi nel Sahel dal 2013. Inoltre, l’attenzione dell’esercito francese si sta spostando sul rischio di conflitti più aspri e più gravi. «Dopo sette anni, nonostante i nostri grandi successi tattici, la situazione non si sviluppa favorevolmente sul campo. Vediamo un bilancio pesante, troppo pesante, e un costo finanziario significativo per la Francia», ha sottolineato il deputato Thomas Gassilloud (maggioranza presidenziale), suggerendo di predisporsi a una «strategia di transizione in una formazione meno pesante».

Parigi vive con l’incubo di impantanarsi in una situazione senza sbocco a breve termine e per alleggerire la propria presenza, la Francia conta su due assi: l’impegno dei partner europei e il sostegno più significativo  degli eserciti saheliani, nella speranza che un giorno possano assumere il controllo del loro territorio. Non è mistero, infatti, che i transalpini facciano molto affidamento sull’operazione Takuba, un gruppo di forze speciali europee che dovrebbero accompagnare i maliani in combattimento e aiutare a ricostruire la fiducia tra militari e popolazione. Circa un centinaio di estoni e francesi hanno compiuto la loro prima missione a Liptako (nord-est) in ottobre. Presto dovrebbero unirsi a loro circa 60 cechi, poi 150 svedesi nel 2021, nella speranza che altri Paesi europei diano il loro contributi, come già sta facendo l’Italia. La ministra francese della Difesa, Parly, infine, spiega che «per molto tempo la Francia è rimasta sola, ora non lo è più. Questa partnership europea sta acquistando slancio. Il sostegno nella lotta dei maliani è essenziale. Sono molto ottimista sul fatto che ora cambieremo marcia».

(Angelo Ravasi)

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