Ranger a quattro zampe

di claudia

Dal Sudafrica al Kenya, dal Congo allo Zimbabwe, i cani sono sempre più impiegati in parchi e riserve per proteggere la fauna e contrastare i traffici illegali. I loro pregi? Sono infaticabili e incorruttibili

di Gianni Bauce

Il bracconaggio in Africa è una piaga severa ed ha assunto sempre più l’aspetto di una vera e propria guerra. Gli interessi sono enormi: da un lato il volume d’affari del traffico illegale di parti animali (quarta attività criminale più redditizia al mondo), dall’altro la salvaguardia di un patrimonio inestimabile che rappresenta per molti Paesi africani una irrinunciabile fonte di reddito.

Così, come in un conflitto convenzionale, entrambi i fronti sono impegnati nella corsa agli armamenti, per evitare di restare anche un solo passo indietro al nemico; armamenti che non contemplano soltanto armi e munizioni, ma anche tecnologia, addestramento, intelligence.

Eppure, tra radar, droni, visori notturni e computer sofisticati, c’è un piccolo esercito di soldati un po’ particolari che da sempre ha affiancato i combattenti, condividendo i rischi e spesso restando nascosti ai meriti, un esercito di efficientissimi soldati a quattro zampe: i cani.

Le unità cinofile sono un elemento importantissimo delle forze di sicurezza di tutto il mondo. Così, anche le unità antibracconaggio africane hanno iniziato a rivolgere una seria attenzione all’utilizzo dei cani nelle proprie attività di prevenzione e repressione, creando unità cinofile K9 specializzate che operano in appoggio alle pattuglie Apu (Anti Poaching Unit) e in stretta collaborazione con le forze di polizia locali. La sigla “K9” è l’abbreviazione di unità cinofila (in inglese, Canine Unit) e deriva dalla forte assonanza di key-nine con canine.

Disciplina e dedizione

I cani del K9 utilizzati nelle attività di antibracconaggio svolgono numerose attività di cruciale importanza: il loro fiuto eccezionale li rende ottimi detective nella ricerca di materiale sospetto nei veicoli o nei bagagli, quali munizioni, armi, parti di animali, trappole. Lo stesso fiuto consente loro di essere utilissimi nel pattugliamento notturno e nella ricerca dei bracconieri in condizioni in cui tracciare le impronte diviene difficile, come per esempio su terreni rocciosi. Non ultimo, il loro utilizzo è molto valido per la ricerca di carcasse animali, che rappresentano il principale oggetto sulla scena del crimine.

Lo straordinario olfatto canino consente a una pattuglia di K9 di perlustrare un’area pari a quella che potrebbe essere coperta soltanto da otto ranger, rendendo molto più efficace il presidio delle aree naturali di conservazione. Non solo. I cani possono rincorrere un soggetto in fuga a una velocità superiore ai 30 km/h, e sferrare morsi paralizzanti, rendendo vano per un bracconiere ogni tentativo di sfuggire alla cattura. Per questi motivi i cani utilizzati dai K9 sono particolarmente temuti dai bracconieri.

Ma ci sono caratteristiche dei nostri amici a quattro zampe che vanno al di là delle abilità fisiche: non sono corruttibili, non li si può distrarre con una mazzetta e non si curano di chi sia il sospettato. Compiono il loro dovere con disciplina e dedizione assoluta, lavorando sette giorni su sette. Non a caso il loro impiego è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni. Oggi si trovano unità K9 un po’ in tutte le nazioni impegnate nella protezione della fauna sul proprio territorio, come Kenya, Tanzania, Zambia, Zimbabwe, Sudafrica, Namibia.

Lungo addestramento

Take Action Zimbabwe, nata sei anni fa nel 2014, è una di queste unità. Opera nella Valle del Save, nel Sud del Paese, un’area che ospita una delle più numerose popolazioni di rinoceronti neri, un ungulato estremamente vulnerabile al bracconaggio. Qui, grazie alle unità K9, sono stati recentemente catturati quattro bracconieri, il cui arresto ha condotto le forze dell’ordine a individuare una ben più vasta rete criminale operante nel Paese.

Compito delle K9 è anche l’addestramento dei loro cani, che inizia all’età di tre mesi, quando i cuccioli delle razze prescelte vengono selezionati in base alla loro attitudine e avviati alle attività addestrative, che includono l’abitudine a volare sugli elicotteri e la permanenza in aree faunistiche o in zoo, in modo da familiarizzare con la fauna selvatica. Ma i cani delle K9, oltre a un adeguato e intenso addestramento, hanno anche bisogno di cure e di attrezzature che garantiscano loro un’adeguata protezione durante il servizio, quali speciali giubbetti antiproiettili, caschetti protettivi, cibo a elevato valore proteico, cure, vaccini e assistenza veterinaria, collari muniti di Gps qualora gli addestratori perdano il contatto con i loro animali.

Tutto questo ha un costo elevato, che si tenta di coprire con le donazioni o il contributo di volontari paganti che prendono parte ai seminari o ai programmi di volontariato.

Una razza speciale

Non sono molte le razze canine adatte all’impiego nelle K9 antibracconaggio. Attualmente soltanto due sono state selezionate per le loro caratteristiche, ciascuna dedicata a un diverso compito specialistico. Il pastore belga Malinois è una razza di media/grossa taglia con sembianze da lupo, che può arrivare ai 30 chili di peso e ai 66 centimetri di altezza. Il colore del manto a pelo corto va dal fulvo con striature nere, al nero; orecchie e muso sono sempre neri. È un cane intelligente, attivo, devoto e protettivo, attento e instancabile, caratterizzato da un’energia talmente elevata che se non sfogata può originare problemi di temperamento.

Facile da addestrare, questa razza viene impiegata in molti Paesi per individuare sostanze occultate, come stupefacenti o esplosivi. I servizi segreti Usa lo utilizzano all’interno del perimetro della Casa Bianca e nelle operazioni più delicate (come il raid in Pakistan che portò alla morte di Osama bin Laden). Il Malinois infatti si rivela un cane eccezionalmente adatto allo scopo anche per via delle sue dimensioni, abbastanza ridotte da poter essere ben gestito e occasionalmente trasportato dal suo conduttore, ma abbastanza grosso da poter fermare e controllare un uomo in fuga o in atteggiamento aggressivo.

Fiuto infallibile

Nelle K9 antibracconaggio, il Malinois viene impiegato per rilevare sostanze nascoste come parti di animali, armi e munizioni, ma anche bossoli esplosi che possono trovarsi sulla scena del crimine, così da trovare largo impiego ovunque si renda necessario perquisire luoghi, veicoli e persone. Generalmente viene addestrato a ignorare l’odore degli altri animali, in modo tale da poter essere impiegato efficacemente a seguire le tracce umane; si rivela anche molto efficace per catturare, arrestare e controllare persone sospette o fuggitivi in attesa dell’arrivo delle forze dell’ordine.

L’altro cane impiegato nelle operazioni anti-bracconaggio è il Weimaraner, comunemente conosciuto come “Raner”: una razza da caccia, selezionata in Germania nel XIX secolo per catturare prede di grossa taglia come cervi e orsi. È un cane dal mantello a pelo raso, di colore grigio e più raramente blu o nero, che può pesare fino ai 50 chilogrammi e raggiungere un’altezza di 70 centimetri; caratterizzato da grande agilità e straordinaria resistenza, possiede un istinto che lo porta automaticamente a lanciarsi all’inseguimento della preda. Per questo viene utilizzato prevalentemente nella ricerca delle carcasse di animali uccisi dai bracconieri e più raramente per la perquisizione di luoghi, veicoli o persone. La battaglia contro il bracconaggio è ancora lunga, ed è confortante sapere che al fianco degli uomini che la combattono c’è anche un amico di lunga data, fedele, leale e capace di perdonarci molti torti: il cane.

Nella foresta congolese

Un capitolo a parte la meritano i “guardiani a quattro zampe” del Congohound, l’unità canina incaricata di proteggere la fauna selvatica del Virunga National Park, nella Repubblica Democratica del Congo. I cani operano in piena foresta equatoriale, in quello che viene considerato il più antico parco nazionale africano: fondato nel 1925, è noto in tutto il mondo per la presenza dei gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei) i primati cui la zoologa Dian Fossey, dedicò la sua vita e gli studi sul campo, fino alla sua tragica morte, avvenuta per mano dei bracconieri il 26 dicembre del 1985. L’area protetta si estende su 7.800 chilometri quadrati in una regione di frontiera infestata da gruppi ribelli, bande criminali e cacciatore di frodo. I segugi addestrati accompagnano i ranger del Virunga nelle attività quotidiane di perlustrazione, ma svolgono anche un ruolo chiave nella ricerca dei feriti e sono stati persino usati per localizzare bambini persi nelle comunità che circondano il Parco. I Bloodhound hanno una straordinaria capacità di captare un odore specifico nel cuore della boscaglia e di seguirne le tracce per molti giorni su un terreno vasto e difficilmente esplorabile dall’uomo.

La squadra di cani è impiegata nella cruciale attività di difesa delle popolazioni di gorilla di montagna, elefanti e ippopotami di Virunga. Un’attività estremamente pericolosa perché avviene in un territorio che da tempo è fuori dal controllo delle autorità governative. Gli ultimi difensori della fauna sono gli uomini e i cani dell’Istituto congolese per la conservazione della natura (ICCN) che ogni giorno rischiano la vita. La loro strenua battaglia è già costata un pesante tributo di sangue. Oltre 170 guardiani sono stati uccisi in servizio negli ultimi anni.

L’ultima, terrificante, strage di innocenti è avvenuta lo scorso 24 aprile quando tredici ranger del parco sono stati massacrati insieme ad alcuni civili in un’imboscata. Il massacro, stando a quanto riferito dalle autorità, è avvenuto quando i ranger, che facevano rientro al parco, si sono trovati coinvolti nell’attacco ad un veicolo civile da parte di un gruppo armato nei pressi di Rumangabo, un villaggio poco distante dal quartier generale del parco. «È stata una giornata devastante per il Virunga National Park», hanno commentato le autorità del parco. «Senza l’impegno di questi uomini e di queste donne, il Virunga non esisterebbe. Siamo vicini alle famiglie di tutti i caduti e ringraziamo tutti per la vicinanza che ci hanno dimostrato in questo periodo straziante. Un amore che ci commuove e incoraggia ad andare avanti». Nella nota ufficiale del Parco non si fa cenno a eventuali vittime tra i cani.

(Gianni Bauce)

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