Raffinerie di carburanti, l’Africa in grave sofferenza

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

Le raffinerie dell’Africa subsahariana combinate possono, su un piano teorico, lavorare fino a 1,36 milioni di barili di petrolio al giorno (bpd) ma l’anno scorso, con molte di queste raffinerie fuori servizio, solo il 30% di quella capacità è stata utilizzata. Lo rivela un rapporto della società di consulenza indipendente Citac, citato da Reuters.

L’anno scorso sono state chiuse le raffinerie in Camerun, Ghana e Senegal, così come quattro in Sudafrica. Il più grande produttore di petrolio dell’Africa, la Nigeria, pompa oltre 1,3 milioni di barili di petrolio al giorno ma i due impianti di proprietà privata ancora in funzione possono processarne solo l’1% di questa quantità.

Il mese scorso l’African export-import bank e l’African petroleum producers organization hanno firmato un accordo volto a creare una “banca dell’energia” multimiliardaria africana al fine di aumentare gli investimenti privati nel settore. La carenza di carburante sta colpendo le nazioni europee e nordamericane ma si prevede che l’impatto di questa carenza sull’Africa sarà più duraturo poiché i governi e le aziende sono tendenzialmente meno in grado di permettersi il costo elevatissimo del carburante importato, come si è visto in Nigeria tra marzo e aprile, o di stanziare i fondi per ammodernare le raffinerie già esistenti.

“È probabile che la situazione possa peggiorare molto nel breve termine”, ha detto a Reuters Anibor Kragha, capo della African refiners and distributors association (Arda), associazione di raffinerie e distributori di carburanti africana. Negli ultimi anni le grandi compagnie petrolifere occidentali hanno progressivamente cancellato diversi progetti di realizzazione di raffinerie in Africa e gli investitori e i governi locali non sono riusciti a colmare questo vuoto, cosa che ha portato a una cronica mancanza di investimenti nella modernizzazione delle strutture esistenti. Il risultato di tutto questo è stato che, nonostante le riserve di petrolio stimate nel continente di 125 miliardi di barili e 600 trilioni di piedi cubi di gas naturale, i paesi africani fanno affidamento quasi esclusivamente sui prodotti petroliferi importati: anche i principali esportatori di petrolio greggio, Nigeria e Angola, dipendono dalle importazioni per quasi l’80% del loro fabbisogno interno di carburante.

Diversi governi africani si stanno ora affrettando a colmare questo divario, soprattutto di fronte al crescente malcontento dovuto agli aumenti dei prezzi dei carburanti: ad esempio, la raffineria Tema del Ghana, da 45.000 bpd, è fuori servizio in seguito ad un’esplosione avvenuta nel gennaio 2017. Il presidente del Ghana Nana Akufo-Addo ha detto che sono stati compiuti “intensi sforzi” per riattivare la raffineria e aiutare l’economia ghanese ad affrontare l’impennata dei prezzi del carburante. Tuttavia, rimettere in linea la raffineria richiederebbe 40 milioni di dollari di nuovi investimenti, una cifra che il Paese non può permettersi.

In Nigeria, l’uomo più ricco dell’Africa, Aliko Dangote, sta costruendo una grande raffineria che avrà una capacità di 650.000 barili al giorno. Tuttavia, l’apertura dell’impianto è stata rimandata al prossimo anno, mentre è appena iniziata, dopo 20 anni di discussioni, l’ammodernamento della raffineria nigeriana di Port Harcourt, un lavoro che richiederà anni per essere ultimato.

L’Angola, che è il secondo produttore di petrolio dell’Africa con circa 1,1 milioni di barili al giorno, ha in programma di costruire diverse nuove raffinerie per aggiungere capacità al suo unico impianto, da 65.000 barili al giorno, sito a Luanda.

Un altro problema riguarda le forniture di diesel e il carburante per aerei, che di recente sono stati scarsi per effetto della riduzione della produzione delle raffinerie africane durante la pandemia, quando le restrizioni di viaggio hanno messo a terra gli aerei, e ai volumi di diesel russo, che sono diminuiti dall’inizio della guerra in Ucraina. Le compagnie aeree nigeriane hanno minacciato di sospendere i voli nazionali a causa dell’aumento dei costi del carburante. 

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