Mozambico: jihad al nord, “una crisi che arriva da lontano”

di claudia

di Enrico Casale

Affari, politica, religione, rapporti sociali: la crisi nel Nord del Mozambico mescola tanti elementi in sé. Un groviglio che ha radici lontane secondo Alessio Iocchi, ricercatore dell’Istituto universitario Orientale di Napoli. “La comunità islamica di Nampula e Cabo Delgado, (dove operava suor Maria De Coppi, la religiosa comboniana 84 enne di Santa Lucia di Piave rimasta uccisa il 6 settembre in un agguato alla parrocchia di Chipene) affonda le radici nella storia e ha rapporti consolidati con le comunità musulmane dell’Oceano Indiano – spiega Iocchi a InfoAfrica -.

In questa regione la colonizzazione islamica è antichissima e radicata. I musulmani delle aree settentrionali non hanno però mai attirato l’attenzione perché, nel tempo, hanno saputo interloquire con il potere politico sia prima che durante la colonizzazione. Durante la guerra civile, i musulmani hanno saputo mantenere una propria autonomia rispetto alle parti. Ma ne hanno pagato il dividendo raggiunta l’indipendenza del Paese”.

La classe politica, pur avendo nella regione una solida base elettorale, non ha infatti investito per la crescita del Nord che, negli anni, è stato progressivamente marginalizzato. Un’emarginazione che si è andata progressivamente accentuando con l’impetuoso sviluppo dei distretti meridionali. In questo contesto, secondo Iocchi, si registra una crescita dell’associazionismo islamico. “Molti giovani si recano all’estero per studiare e per scambi culturali. Quando rientrano, cercano di ritagliarsi uno spazio nella società e nella politica mozambicana. Trovano però gli spazi chiusi dalle storiche organizzazioni islamiche. Ciò li spinge a radicalizzare il proprio linguaggio e il proprio messaggio”.

A sfruttare questa situazione è lo Stato islamico che, dopo le sconfitte registrate in Medio Oriente, da tempo si sta riposizionando in Africa. “Da anni – continua Iocchi -, l’Isis si sta espandendo in Africa occidentale, ma sta creando basi anche nella regione centrale e in quella orientale. Cellule nascono in Somalia, Uganda, Rd Congo, ma anche in Tanzania e in Kenya. Missionari islamici penetrano in Mozambico e accendono il fuoco di una rivolta soffiando sul fuoco del malcontento”.

Di fronte a questa crescente minaccia, Maputo reagisce duramente. Dopo le prime sconfitte sul terreno, esercito e aviazione armate e formate dagli europei e dal Ruanda, reagiscono duramente. “Sono sempre più frequenti le notizie di gravi violenze perpetrate dai jihadisti, alle quali si associano quelle dei militari mozambicani – osserva Iocchi -. Si tratta di una guerra piena di abusi e brutalità da entrambe le parti. Al momento, nonostante i frequenti attacchi jihadisti, le forze armate mozambicane sembrano in grado di contenere la spinta dei miliziani islamici. Non si è infatti registrata una espansione della ribellione verso sud. Anche se va sottolineato come i jihadisti abbiano saputo infiltrarsi con abilità nelle zone centrali delle province di Cabo Delgado e Nampula, aree ricche di miniere”.

Qui gli islamisti hanno saputo creare connivenze con gli operatori economici attraverso pressioni, violenze, ricatti. “È noto che tra i primi finanziatori dell’insorgenza – conclude Iocchi – ci fossero contrabbandieri di diamanti e rubini. Non si sa quale grado di adesione avessero all’ideologia islamica, ma è certo che fossero vicini all’Isis e con esso hanno fatto affari. Diverso il caso delle grandi compagnie petrolifere che estraggono gas nell’area. Queste non sono né conniventi né minacciate dai jihadisti. E, a parte piccoli sabotaggi, non hanno subito gravi danni. A patire le violenze sono soprattutto i mozambicani che quotidianamente devono fare i conti con la violenza jihadista”. 

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