Migranti uccisi a Melilla, contesto e fatti in una testimonianza

di AFRICA

di Céline Camoin

È un contesto di inasprimento delle relazioni tra i migranti e le forze dell’ordine marocchine, alla luce di nuovi e recenti accordi tra Madrid e Rabat, che ha portato a una situazione estrema e drammaticamente inedita, venerdì scorso, al posto di frontiera di Barrio Chino all’ingresso dell’enclave spagnola di Melilla. Lo spiega alla rivista Africa Omar Naji, esponente dell’Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh), sezione di Nador, raggiunto telefonicamente da Roma nella località marocchina.

“Siamo abituati ai tentativi di incursione di migranti dal Marocco nell’enclave di Melilla. Sono fatti che accadono ogni mese, ma mai abbiamo assistito a una tale violenza”, spiega l’attivista. Secondo Naji, nelle ultime settimane, da quando si sono ravvicinati diplomaticamente i governi del Marocco e della Spagna, nuove disposizioni tra i ministeri  hanno portato a stringere la morsa attorno ai migranti. “Retate nelle foreste dove queste persone sopravvivono nella precarietà, distruzione dei campi di fortuna, le forze dell’ordine stanno cercando con ogni mezzo di spingere i migranti ad andarsene. Hanno addirittura chiesto ai commercianti locali di non vendere più cibo ai migranti, di non collaborare più con loro, di non aiutare più”, racconta alla nostra redazione.

È quindi spinti al limite che una folta folla di migranti, circa 1.500, si sono lanciati il 24 giugno scorso, muniti di bastoni e pietre, all’assalto della barriera che separa il Marocco dall’enclave europea. La maggior parte di queste persone sono, secondo il nostro interlocutore, sudanesi e sud-sudanesi in fuga da situazioni di violenze e repressioni nei propri Paesi, come nelle regioni del Darfur e del Kordofan. “Noi li consideriamo richiedenti asilo, ma la vita che fanno qui è davvero difficile. Si arrangiano da soli, piccoli lavoretti, solidarietà locale….”, spiega.

Non è ancora ben chiaro il bilancio delle vittime – 23 secondo le autorità, almeno 27 secondo l’Amdh, forse qualcuno in più – ma quello che è certo, secondo Omar Naji, è che tutti i cadaveri si trovano all’obitorio. “Le autorità hanno tentato di scavare tombe per seppellire i corpi, ma ci siamo opposti, abbiano attirato l’attenzione, e si sono dovuti fermare”, ha spiegato, smentendo le voci di “fosse comuni” circolate nei media, in particolare italiani. “Chiediamo un’inchiesta seria, sulle responsabilità di queste violenze e dei decessi, e soprattutto l’identificazione di ciascuna delle vittime”.

Quel che è certo è che i soldati marocchini hanno usato la mano dura per reprimere l’assalto dei migranti, ma non è escluso che alcuni di loro si siano feriti, forse anche mortalmente, cadendo alla barriera, o nella calca, o negli scontri. Per ore decine di migranti, forse centinaia, sono stati ammassati in uno spazio angusto, senza assistenza, privi di cure, una situazione che ha aggravato il loro stato di salute. “Questo, sotto gli occhi delle autorità marocchine ma anche delle autorità spagnole, dei loro agenti presenti a pochi metri, ma che non hanno mosso un dito per intervenire”, denuncia l’esponente dell’Amdh.

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