Mali, la schiavitù è ancora una realtà

di Enrico Casale
schiavitù

Salif Fofana, direttore esecutivo di Amnesty International Mali, ha chiesto al governo maliano di fornire maggiore assistenza alle vittime della schiavitù. “Le vittime hanno bisogno di due cose: assistenza e protezione”, ha detto Fofana durante la conferenza tenutasi a Bamako nei giorni scorsi con titolo ‘La schiavitù per discendenza in Mali un ostacolo alla pace e alla coesione sociale’. Fofana ha quindi chiesto “che entro la fine dell’anno sia creato un ufficio di assistenza legale presso il tribunale di Kayes” che, secondo lui, “faciliterà l’accesso delle vittime alla giustizia”.

di Valentina Giulia Milani

Secondo le medesime fonti, il rappresentante del ministro della Giustizia, Diakaria Doumbia, ha promesso che il dipartimento lavorerà per soddisfare la richiesta di Amnesty.  “Nel contesto della revisione del codice penale maliano, la questione della schiavitù sarà discussa e certamente integrata nell’arsenale giuridico del nostro paese”, ha promesso Doumbia. “Nel frattempo, il ministro della giustizia ha inviato una lettera ai procuratori della Corte d’Appello, incaricandoli di prendere tutte le misure necessarie per perseguire tutti coloro che sono coinvolti in atti legati alla schiavitù”, ha aggiunto.

La pratica della schiavitù rimane diffusa nella regione di Kayes, anche se il Mali ha abolito la schiavitù nel 1905. A fine agosto è stata elaborata una carta di convivenza pacifica al termine di un forum di comprensione sociale tra le comunità della regione di Kayes, nel sud del Mali, per trovare soluzioni alla pratica della ‘schiavitù per discendenza’ che è stata ereditata da alcune famiglie nella zona.

“Questa carta verrà utilizzata per abolire alcuni termini come ‘djon’, utilizzato per designare uno ‘schiavo’ con lo scopo di sminuire, umiliare o minare la dignità dell’altro”, aveva detto a suo tempo il governatore della regione, il colonnello Moussa Soumaré.

I partecipanti avevano anche convenuto, in quell’occasione, di proibire l’obbligatorietà e il carattere vincolante di certi lavori e pratiche culturali nelle relazioni quotidiane come il lavoro nei campi, la macellazione di animali, lo sfruttamento di giovani ragazze considerate come “schiave” a lungo termine al servizio di nuove spose considerate come “nobili”.

La carta prevede anche l’istituzione di un quadro di consultazione e di dialoghi inclusivi da intraprendere sotto la guida dei capi villaggio e delle autorità amministrative e politiche, “per promuovere il ritorno degli sfollati, il perdono e la riconciliazione”.

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