L’eterna corsa presidenziale di Yoweri Museveni

di Enrico Casale

pubblicità elettorale di MuseveniDomani, giovedì 18 febbraio, in Uganda, si svolgeranno le elezioni presidenziali. Otto candidati, un solo favorito: Yoweri Kaguta Museveni, il leader del Nrm (National Resistance Movement) che è a capo della Nazione da trent’anni e che, lo scorso novembre, ha reso ufficiale la propria candidatura per il quinto mandato, violando, per la terza volta, la Costituzione.

Due i principali avversari: Kizza Besigye, leader dell’Fdc (Forum for Democratic Change) e diretto rivale di Museveni, e Amama Mbabazi, ex Primo ministro (2011-2014) e candidato indipendente. Besigye è la quarta volta che sfida Museveni. Mbabazi, invece, è passato all’opposizione dopo aver creato una spaccatura interna al partito al potere, nel vano tentativo di diventare il nuovo candidato dell’Nrm.

Nonostante negli ultimi mesi il consenso a Besigye sia aumentato, la vittoria di Museveni rimarrebbe quasi scontata. Un sondaggio svolto dall’Osservatorio Ipsos tra il 1° e l’8 febbraio mostra come il presidente in carica goda di un consenso del 53% contro il 28% del suo principale oppositore. Solo un mese prima, un sondaggio effettuato dal Research World International dava a Museveni il 51%, a Besigye il 32% e a Mbabazi il 12%. Il dato certo è che l’opposizione pare essere ancora troppo frammentata per poter raggiungere il decisivo 50% più un voto e porre così fine al ‘regno’ del presidente-dinosauro.

L’eterna corsa presidenziale dell’ormai settantenne Museveni iniziò quando, nel 1986, conquistò la capitale Kampala dopo essersi battuto prima contro il folle Idi Amin Dada, poi contro i presidenti Milton Obote e Tito Okello. Laureatosi nel 1970 in Scienze Politiche, Giuridiche ed Economiche diede infatti presto inizio alla sua carriera politica che lo vide, in un primo momento, entrare nell’Intelligence di Obote, poi essere eletto ministro della Difesa del Governo di transizione post-Amin, dopodiché fondare l’Nrm e conquistare il potere.

elettore ugandeseForte del sostegno degli Stati Uniti che, tra le altre cose, apprezzano il fatto che l’Uganda abbia partecipato alla missione Amisom contro il gruppo terroristico al Shabaab in Somalia, Museveni può contare anche sull’appoggio dell’esercito: l’Updf (Uganda People’s Defence Force), nato dalle ex forze ribelli Nra (National Revolutionary Army), sembra infatti essere compatto e fedele all’attuale capo di Stato. Naturalmente, a incoraggiare i suoi sostenitori e protettori vi sono rilevanti interessi economici e politici.

Buona parte della popolazione, inoltre, riconosce a Museveni il fatto di aver grarantito al Paese pace e sicurezza dopo la lunga guerra civile, di aver migliorato il settore dell’istruzione e di avere costruito strade e infrastrutture. L’attuale presidente, in questi tre decenni, è riuscito anche a comperare innumerevoli voti e ha capito come incutere timore all’opposizione senza creare scalpore.

Il malcontento, in ogni caso, non manca. Molti ugandesi, per esempio, manifestano insofferenza verso l’alto livello di corruzione dell’entourage al potere, l’elevato tasso di disoccupazione, l’innalzamento della povertà e gli inadeguati servizi sanitari. Fattori, questi, tutti a favore di Besigye, che non dovrebbero però essere sufficienti per garantirgli la vittoria.

Non sono, invece, da escludersi con certezza eventuali scontri post elettorali, nel caso vinca Museveni (e un assaggio c’è già stato questa settimana). Una fonte locale parla di una situazione per ora tranquilla, ma aggiunge: «la popolazione non è serena, si temono proteste violente». La polizia ha infatti ricevuto nuovi equipaggiamenti antisommossa. La possibilità che si possa arrivare a un colpo di Stato pare comunque essere assai remota, vista l’unità dell’esercito al fianco del Presidente, il quale, nel frattempo, sta provvedendo ad arrestare alcune figure di spicco dell’opposizione. Come il generale David Sejusa, arrestato il 2 febbraio per essere sospettato di «appartenere a gruppi di disobbedienza civile» e per aver accusato l’attuale Presidente di aver instaurato un regime dittatoriale.

Valentina G. Milani

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