L’erba buona del Lesotho

di claudia

Il piccolo regno montuoso è il primo Paese africano ad avere legalizzato la coltivazione della cannabis per fini medico-curativi. Una decina di società ha già avviato la produzione. Gli affari vanno a gonfie vele. Vi portiamo alla scoperta delle piantagioni di canapa terapeutica che danno lavoro a migliaia di giovani africani

di Paul Yambuya – foto di Guillem Sartorio / Afp

Le serre sulle colline di Marakabei brillano come diamanti alla luce del sole. Siamo nel cuore del Lesotho, minuscolo regno dell’Africa australe, a sud-est della capitale Maseru, vicino alle rive del fiume Senqunyane. Qui prospera la più innovativa e redditizia delle colture del Paese: la cannabis. Nel 2017 il Lesotho – primo nel continente a farlo – ha aperto le porte alla produzione di canapa per fini medici.

Coraggio e creatività

Oggi sono operative una decina di società straniere, la maggior parte canadesi, il resto statunitensi e britanniche, con floridi vivai di decine di migliaia di piantine che valgono una fortuna. «Abbiamo investito 23 milioni di dollari nell’avvio dell’attività», spiega Andre Bothma, amministratore delegato di MG Health. «Impieghiamo 380 lavoratori, ma arrivano in continuazione nuovi ordini dall’Europa e presto dovremo fare nuove assunzioni».

Parole che sono musica alle orecchie del ministro delle Finanze Moeketsi Majoro: il Lesotho ha 2 milioni e mezzo di abitanti, età media 23 anni e un tasso di disoccupazione giovanile pauroso. «Abbiamo duecentomila ragazzi senza lavoro, una bomba ad orologeria da disinnescare quanto prima usando coraggio e creatività. L’industria della canapa medica è in pieno sviluppo. E noi abbiamo assoluto bisogno di creare nuove opportunità per i nostri figli».

Donne lavoratrici raccolgono le foglie dalle piante di cannabis all’interno della serra di Medigrow, una compagnia Lesotho-Canadese che coltiva cannabis legalmente, situata vicino a Marakabei, 6 Agosto, 2019.

Una lunga tradizione
Nella lingua nazionale sotho, la cannabis è conosciuta come matekoane. Il suo consumo come stupefacente è illegale, ma piuttosto tollerato. E anche nel vicino Sudafrica, dove pare che il 70% della marijuana (derivata dalla cannabis) fumata nelle township venga proprio dal Lesotho.

«Su questi altipiani le prime tracce storiche della sua coltivazione risalgono al XVI secolo», spiega Laurent Laniel, ricercatore presso l’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze. «Già nel 1500 abbiamo notizie di baratti di marijuana contro selvaggina, tra coltivatori basotho e san (boscimani). Le autorità di Maseru hanno legalizzato la produzione e la commercializzazione della cosiddetta cannabis light: un’erba con finalità terapeutiche da cui è stato rimosso quasi completamente il tetraidrocannabinolo (Thc) – il principale componente psicoattivo responsabile degli effetti inebrianti. La legge prevede che le tracce di questo principio attivo, presente in natura soprattutto nei semi, non superino mai lo 0,3% (valore poco più alto del limite imposto in Italia).

Benefici anche per l’occupazione

La parte lavorata della pianta è composta principalmente dalla sostanza non psicoattiva, il cannabidiolo (Cbd), che può apportare benefici a chi la assume nelle dosi consigliate, come peraltro certificato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ne è stata provata l’efficacia nel curare e alleviare i sintomi di molte patologie, per esempio quelli legati alla sclerosi multipla o alle lesioni del midollo spinale, il dolore cronico di origine neuropatica od oncologica, ansia ed epilessia, artriti e cefalee, la nausea causata da chemioterapia, radioterapia, terapie per l’Hiv, anoressia.

«I benefici medici sono certi. Ora dobbiamo far sì che questa pianta promuova lo sviluppo economico e sociale del Lesotho», argomenta Moeketsi Majoro. «Per questo motivo spingiamo le società che hanno acquisito la licenza per coltivare la cannabis terapeutica nel nostro Paese ad avviare qui la lavorazione del prodotto»: affinché i giovani locali possano essere impiegati negli stabilimenti dove si creano i derivati della canapa, dall’olio alle tisane. «Esportare il prodotto grezzo significa esportare posti di lavoro, e noi non possiamo permettercelo».

Business per pochi?
Nelle serre lavorano a pieno ritmo già migliaia di persone. Si prendono cura delle piante, seminano, innaffiano, recidono, raccolgono. «I lavori procedono spediti», dichiara Albert Theron, responsabile della produzione di Medigrow, società a capitale misto del Lesotho e del Canada. «Finora abbiamo prodotto 2.000 chili di foglie e oltre 1.000 litri di olio». Per dare un’idea del volume di affari, l’olio di cannabis può essere venduto a prezzi che oscillano, a seconda del Paese di esportazione, tra i 5.000 e i 20.000 euro al litro. L’oro verde del Lesotho viene trasportato in elicottero in Sudafrica, dove avviene la spedizione aerea in tutte le parti del mondo. Il mercato globale della cannabis medica è attualmente stimato in 150 miliardi di euro e potrebbe raddoppiare in dieci anni, secondo Barclays Bank.

Il Lesotho vuole diventare un hub internazionale per il commercio della canapa sativa. Ha molte carte da giocare per attrarre gli investitori: leggi chiare e agevolazioni fiscali, stabilità e sicurezza, ambiente ideale (clima fresco, soleggiato, umido), ampia disponibilità di manodopera a buon mercato. La licenza per coltivare cannabis nel Lesotho costa l’equivalente di 30.000 euro l’anno. Un prezzo estremamente vantaggioso per le grandi società del settore – proibitivo per i piccoli agricoltori locali. E questa è forse l’unica nota dolente della storia. «Speriamo che il governo cambi le leggi e permetta anche a noi di entrare in questo settore», sospira Mothiba Thamae, 38 anni, che nei campi di famiglia produce, a 1400 metri di altitudine, mele, pesche e uvetta. Il costo inaccessibile della licenza per la cannabis spinge molti contadini a coltivarla illegalmente, per poi venderla a intermediari sudafricani che a loro volta la distribuiscono alla rete di spacciatori. Il governo del Lesotho sa bene che la sola repressione non potrà sconfiggere il traffico della marijuana. Deve offrire in fretta una valida alternativa a una popolazione tra le più povere al mondo.

(Paul Yambuya – foto di Guillem Sartorio / Afp)

Questo articolo è uscito sul numero 4/2020. Per acquistare una copia della rivista clicca qui o visita l’e-shop

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