Le lucenti giraffe di Nairobi

di claudia

di Irene Fornasiero – foto di Sergey Maximishin / Agentur Focus / Luz

Alla periferia della capitale del Kenya migliaia di artigiani sono intenti ogni giorno a riciclare mucchi di ferraglia e vecchi bidoni di latta. Nelle loro abili mani i rifiuti potenzialmente dannosi diventano creazioni metalliche in forma di animali

Le savane del Parco Nazionale di Nairobi si trovano a quindici chilometri di distanza, eppure il lungo collo delle giraffe luccica e torreggia sulle strade di Gikomba. Non è uno scherzo della prospettiva. In questa area industriale della capitale keniana – conosciuta per i suoi artigiani e commercianti che danno vita a mercati informali brulicanti di gente – si è sviluppata negli ultimi anni una florida attività di riciclaggio che trasforma vecchie ferraglie in sculture metalliche in forma di animali selvatici. Gazzelle, leoni, buoi, ippopotami, coccodrilli. Soprattutto giraffe. «Vanno per la maggiore», spiega Gatimu Mwangi, fabbro di 35 anni. «Sono richieste soprattutto da gallerie d’arte e negozi di souvenir del centro. Nei mesi scorsi, a causa del lockdown e del crollo del turismo, la produzione è rallentata, ma non abbiamo mai smesso di lavorare perché molti ordini arrivano dall’estero e ogni settimana parte un container carico delle nostre statue».

Fabbri al lavoro

Gatimu è uno dei quattromila artigiani impiegati nella trasformazione dei rottami a Gikomba. Lavorano dodici ore al giorno – senza ferie né indennità di malattia – per guadagnare mediamente cento dollari al mese: più di quanto non intaschino i “portatori”, stuoli di ragazzotti che recuperano in ogni parte della città gli enormi bidoni usati per il trasporto della benzina d’importazione. «Ritiriamo i fusti vuoti nei distributori di carburante, nelle fabbriche e nelle case private che hanno i generatori a corrente», spiega un giovanotto di nome Ochien’g, che si è appena scaricato dalle spalle un barile arrugginito e si accinge ad accatastarlo in una ferrosa montagna multicolore.

Assieme ai barili si recuperano vecchi ingranaggi di motori, bulloni, tubi di scappamento, molle, catene di biciclette e altri pezzi metallici. Sarà compito degli uomini del quartiere prelevare il materiale e trasformarlo. Nelle buie officine di Gikomba il rumore è assordante. Miriadi di martelli percuotono violentemente le lamiere, che vengono divelte, tagliate, modellate con la forza dei muscoli. Impossibile parlare. Difficile distinguere i volti dei fabbri. Nei locali avvolti nella penombra brillano gocce di sudore e occhi stanchi. E raffiche di scintille sprizzate dai saldatori che assemblano l’alluminio e gli altri metalli per creare sculture imponenti.

Poco valorizzati

Ogni giraffa è realizzata artigianalmente da zero ed è unica. «Per l’intero ciclo di lavorazione servono almeno due settimane di lavoro», mi viene spiegato. Gli esemplari più grandi arrivano a misurare tre metri di altezza. Vengono messi in esposizione nelle immediate vicinanze delle officine o lungo i marciapiedi di Ngong Road, una delle arterie principali di Nairobi. I keniani sono maestri nell’arte del riciclaggio e artisti di fama internazionale come Adele Dejak hanno conquistato il successo grazie alla loro straordinaria capacità di trasformare pezzi di metallo in oggetti di grande valore ed eleganza.

Gli artigiani di Gikomba non hanno uguale fortuna, benché il loro incessante lavoro contribuisca a smaltire e riqualificare tonnellate di rifiuti potenzialmente dannosi per l’ambiente. E chissà se qualcuno di loro ha avuto il tempo di curiosare nel web: avrebbe forse scoperto che le sue giraffe metalliche vengono vendute da gallerie d’arte europee e americane a prezzi che superano i tremilacinquecento dollari l’una. Tre anni del suo stipendio.

Questo articolo è uscito sul numero 5/2022 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

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