L’arte di Djibril Diop Mambety, visionario regista senegalese

di claudia

di Annamaria Gallone

Oggi continuo la mia carrellata dei registi più importanti che hanno segnato la storia del Cinema Africano. E come non parlare di lui, il divino Djibril Diop Mambety? Riporto Wikipedia: Djibril Diop Mambéty nasce nel 1945 a Dakar, nel quartiere periferico di Colobane. Muore a Parigi nel 1998. È considerato tra i più originali, visionari e sperimentali registi africani. È fratello del musicista Wasis Diop.

Mambéty ha iniziato la sua carriera artistica in Senegal, iniziando a studiare teatro e a lavorare successivamente come attore presso il Teatro Nazionale Daniel Sorano di Dakar, fino a quando venne espulso per motivi disciplinari. Nel 1969, all’età di 24 anni, senza aver ricevuto nessuna formazione presso una scuola di cinema ma da autodidatta, dirige e produce il suo primo cortometraggio, Contras’ City (Città di contrasti). L’anno seguente Mambéty realizza un altro corto, Badou Boy, che vince il Tanit d’Argento al Festival Giornate cinematografiche di Cartagine nel 1970 in Tunisia.

Il suo primo lungometraggio, Touki Bouki, realizzato nel 1973, riceve il Premio Internazionale della Critica al Festival di Cannes e vince il premio speciale della giuria al Festival di Mosca, portando al regista senegalese una fama internazionale e numerosi consensi. Nonostante il successo del film, Mambéty realizza solamente una ventina di anni dopo il suo secondo lungometraggio, Hyènes, che, nel 1992, viene selezionato in concorso ufficiale a Cannes.
Durante questa pausa, il regista ha realizzato nel 1989 Parlons Grandmère, un documentario sulla realizzazione del film Yaaba del burkinabé Idrissa Ouédraogo.

Hyènes è un adattamento cinematografico tratto dall’opera letteraria La visita della vecchia signora, un dramma scritto nel 1956 dallo scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, pubblicato in Italia da Einaudi, e fu concepito come un ideale prolungamento di Touki Bouki. Wasis Diop, il fratello musicista di Djibril Diop Mambéty, si occupò della colonna sonora del film.

Negli ultimi anni della sua vita, il regista ha lavorato ad una trilogia di cortometraggi, intitolata Contes des Petites Gens (Tales of the Little People). Riuscì a completare solo il primo, Le Franc (1994), mentre La Petite Vendeuse de Soleil fu quasi portato a termine ma interrotto dalla morte del regista, e venne distribuito postumo nel 1999.
Djibril Diop Mambety ha anche lavorato come attore in parti secondarie nei suoi film e in alcune pellicole italiane, come l’episodio dal titolo Che cosa non ho fatto della commedia erotica di Pietro Vivarelli Il Decamerone nero.

Immagine tratta da La petite vendeuse de Soleil di Mambety

Ma come raccontare l’arte di Djibril e la magia del suo personaggio? Antesignano, ribelle, poetico, dissacrante, urbano, universale, rivoluzionario, profetico, coraggioso. Sul cinema di Mambety sono stati versati fiumi di inchiostro, si sono sbizzarriti critici di tutto il mondo. Io, invece, voglio parlare del privilegio di averlo avuto come amico e dei momenti magici vissuti grazie a lui. Il mio primo incontro avviene a Ouagadougou, nel 1997, poco prima che Thomas Sankara venga ucciso, quando il FESPACO è ancora un evento favoloso, unico al mondo. Siamo nella sala cinematografica più grande, immersi in un buio totale che si prolunga suscitando la curiosità e un po’ anche l’ansietà dei presenti. Poi un fascio di luce illumina una figura ieratica, quasi irreale, che lentamente giunge dall’alto. Abito lungo viola di cotone grezzo, un viso dai lineamenti regolari e bellissimi, tra le braccia un fagotto di cotone che sembra avvolgere un neonato. Nel silenzio totale, lentissimamente Djibril raggiunge il palco, svolge il tessuto bianco e appare…una iena imbalsamata! Questa la sua introduzione ad un capolavoro assoluto della cinematografia universale: Hiènes. Mi innamoro perdutamente del film e subito dopo voglio ricuperare TUTTO ciò che il regista ha girato: dai corti a Touki Bouki, un altro film che ha segnato per sempre la mia vita di cinefila.

Una successiva edizione di Ouaga: siamo in un cinema di periferia, quelli con le panche sotto le stelle. Una frotta di ragazzini cenciosi si assiepa intorno a Djibril, che dice loro di chiudere gli occhi…..è questo il cinema! (Devo cercare la citazione,che non ricordo più perfettamente…) E poi, Torino. Quando la città è invasa dalla nebbia e ti senti il grigiore anche dentro l’anima. Fa un gran freddo e in un bar sotto i portici di via Sacchi stiamo bevendo un tè . Ai vetri bussa un giovane africano, grande e grosso.
Usciamo a incontrarlo, lui dice di chiamarsi Moussa, abbraccia Djibril e poi comincia a confidarsi con lui. È veterinario e lavora, ma Torino è fredda, la gente è fredda, si sente solo e depresso. Intanto, attirati dalla presenza ieratica del regista, la gente comincia a fermarsi, a osservare. Dopo averlo ascoltato benevolmente, Djibril gli parla, con la sua consueta, suggestiva gestualità e gli dice che se la gente è fredda, lui deve poter offrire il calore dell’Africa. Deve prenderle per mano, quelle persone, e cullarle dolcemente, come si fa con un bambino. Mima il gesto della culla e canta una dolcissima berceuse. La gente, che forma ormai un capannello, forse non ha capito tutto, ma applaude e Moussa scoppia in lacrime, ma sono lacrime consolatorie.

E poi lo incontro a Cannes, le ore piccole al Blue Café, lunghi parlari leggeri e profondi, mentre la Croisette diventa deserta e dal mare spira una brezza fresca. Poi Milano dove mi racconta per filo e per segno La petite vendeuse de Soleil, che girerà l’anno seguente. Una sceneggiatura perfetta, visiva, che ritroverò assolutamente fedele nel magnifico film.
Sempre a Milano, mostro un mio documentario al Festival. Sono le prime ore del pomeriggio, è la seconda proiezione, c’è poca gente, me lo aspettavo. La proiezione finisce e seduto nelle poltrone dell’ultima fila c’è lui, che ha seguito tutto con amorosa attenzione. Mi abbraccia, mi gratifica con i suoi commenti e per me è come ricevere l’Oscar.

Parigi, dove mi guida a un ristorante africano vicino alla Gare de Lyon, pieno di amici e di musica, e infine a Locarno, il nostro ultimo incontro. L’ultimo gin tonic bevuto insieme, ma Djibril è silenzioso e guarda nel vuoto. Mi sembra smagrito e mi si stringe il cuore, quasi la premonizione di una morte annunciata.
Ma non voglio ricordarlo così, voglio ricordarlo nel momento forse più bello della nostra amicizia, quando mi fa da guida a Dakar. In giro sulla quattro per quattro del film di Hyènes, un itinerario pazzesco, “made by Djibril”, che mi farà amare per sempre Dakar e la sua isola-rifugio. Andiamo a incontrare i due protagonisti di Touki Bouki, Mory e Anta, ormai adulti e le emozioni si susseguono ininterrotte per tutto il giorno.
Così voglio ricordare Djibril, con la felicità e l’ebbrezza di quel giorno, che con il tempo non muoiono.

Condividi

Altre letture correlate: