La voce libera del Kivu

di claudia
congo rtvgl

Visita agli studi di Radio-Télévision des Grands Lacs di Bukavu, dove l’informazione non si piega ai poteri forti. È tra le più autorevoli emittenti radiotelevisive indipendenti della Repubblica Democratica del Congo. Una voce popolare (tra la gente) e fastidiosa (per i governanti). I suoi giornalisti, giovani e audaci, denunciano la corruzione e il malgoverno. Rischiando la vita.

testo e foto di Marco Trovato 

Mentre il telegiornale sta andando in onda, di colpo spariscono le luci dello studio. Si blocca l’aria condizionata, si spegne la telecamera, si piomba tutti nel buio. «Dannazione, un’altra volta», impreca un tecnico che si precipita fuori per avviare il generatore a gasolio. Il lamento di un vecchio motore riporta la luce. «Maledetti blackout… Quasi ogni giorno restiamo senza corrente», bofonchia il ragazzo tornando ansimante per la corsa.

Urla nel silenzio

«È una vergogna!», sbotta il collega addetto alle riprese. Si chiama Victoire. Ma ha l’aria sconfitta, esasperata, il volto imperlato di sudore. «Viviamo in una regione ricchissima di minerali preziosi». Li elenca con una smorfia quasi di disgusto: «Diamanti, oro, uranio, cobalto, tungsteno, coltan, alluminio… Eppure l’80 per cento della popolazione vive al buio, senza lampadine e interruttori in casa… In un Paese normale ci sarebbe la gente in piazza a chiedere le dimissioni dei governanti. Invece siamo solo noi a protestare». La sede di Radio Téle-Vision des Grands Lacs (Rtvgl) si trova in un vecchio edificio di Bukavu, capoluogo della provincia congolese del Sud Kivu.

Un tempo questo casermone ospitava gli uffici centrali delle poste. Poi, anni fa, un incendio lo ha devastato. Porte e finestre, incenerite. Sono rimasti solo i muri sbrecciati, calcinacci per terra, il tetto di lamiere sistemato in qualche modo. E un groviglio di locali malconci dove hanno trovato spazio attivisti, artisti, sindacalisti, giornalisti.

Al servizio della gente

Nella redazione di Rtvgl lavorano dodici cronisti, ma solo la metà è stipendiato. Il resto sono volontari o stagisti. «I più fortunati di noi guadagnano una miseria», spiega Emmanuel, caporedattore, laurea in comunicazione e media, sguardo sveglio e appassionato. «Ma non è certo per soldi che facciamo questo mestiere. Se siamo qui, se sopportiamo di lavorare in queste condizioni, è perché amiamo il giornalismo e crediamo nel valore assoluto della libertà».

Radio Téle-Vision des Grands Lacs è tra le poche emittenti indipendenti del Congo orientale. I suoi notiziari (televisivi e radiofonici) sono trasmessi nel raggio di 30 chilometri e raggiungono anche i villaggi della foresta infestata da banditi e milizie armate. «Informare le comunità più isolate e vulnerabili è la nostra priorità – spiega Fammy Mikindo, il giovane direttore –. La politica non si preoccupa dei tanti poveri che hanno bisogno di soccorso e protezione. Lo abbiamo visto anche durante le prime settimane della pandemia. Se non fosse stato per la nostra di informazione, una larga parte della popolazione non avrebbe saputo come affrontare il coronavirus. Da quando è iniziata la pandemia abbiamo stravolto il palinsesto per essere ancor più a servizio del nostro pubblico. Spieghiamo come utilizzare pezzi di stoffa per realizzare mascherine efficaci o come costruire semplici rubinetti igienizzanti. Durante il lockdown abbiamo denunciato la condizione di abbandono dei bambini orfani della scuola e le violenze domestiche subite dalle donne nelle loro case… La gente non smette di ringraziarci per il supporto fornito nell’emergenza, supplendo all’inerzia e all’incuria dello Stato».

Lo studio radiofonico da dove si trasmettono ogni giorno programmi di informazione e sensibilizzazione

Fuori dal coro

Malgrado i suoi poveri mezzi disponibili, Rtvgl gode di prestigio e credibilità, il che la rende – al tempo stesso – molto popolare e molto fastidiosa. Una spina nel fianco dei governanti. «La nostra voce libera non piace a chi detiene il potere e vorrebbe continuare a farsi i propri loschi affari nell’impunità – dice Fammy Mikindo –. Ogni volta che i nostri servizi giornalistici toccano argomenti sensibili, come la corruzione dell’amministrazione o il commercio illegale dei metalli, provochiamo un vero terremoto. Gli uomini di potere si infuriano, ogni tanto ci mettono i sigilli alle porte e spengono i ripetitori, l’ultima volta è accaduto l’estate scorsa. Quando riprendiamo, riceviamo intimidazioni e minacce. Ma non ci facciamo spaventare». 

Gran parte delle antenne che punteggiano il territorio è al servizio di politici e affaristi locali. In una babele di emittenti faziose e torbide, portavoce della propaganda, il giornalismo di Rtvgl è una testimonianza preziosa della resistenza e della vivacità della società civile. «I lavoratori sono anche proprietari dell’emittente – chiarisce Gaspard, mezzobusto del Tg serale –. Non abbiamo padroni da servire, interessi occulti da perseguire. Non elemosiniamo finanziamenti pubblici e non accettiamo réclame che potrebbero compromettere la nostra autonomia». Si vive degli spazi pubblicitari acquistati da negozianti e artigiani. Che vedono in Rtvgl il mezzo giusto per promuoversi. «Anche se i governanti fanno di tutto per scoraggiare gli inserzionisti, mettendo in campo una vera e propria campagna di terrore con l’obiettivo di sottrarci risorse vitali», conclude Gaspard.

Vivo per miracolo

Per far quadrare i conti, pagare bollette e stipendi, i giornalisti offrono ai cittadini un servizio di videoriprese e montaggio. «Veniamo spesso ingaggiati per cerimonie come matrimoni e battesimi. Ma non basta. Per fare giornalismo di qualità servono soldi. Per cercare le notizie, approfondirle, verificare le fonti, bisogna muoversi, spostarsi sul territorio, dedicare tempo ed energie. Tutto questo ha un prezzo».

Il prezzo più alto l’ha pagato due anni fa Roger Milan, inviato di Rtvgl.  «Avevo denunciato una storia di bustarelle e di sottrazione di denaro pubblico – è lui stesso a raccontare –. Una sera sono venuti a prelevarmi dei poliziotti in uniforme. Mi hanno scaraventato a terra e massacrato di botte fin quasi ad ammazzarmi». Mi mostra una foto scattata con il cellulare. Si vede un volto sfigurato, orribile maschera di sangue, la pelle squarciata, gli occhi gonfi e tumefatti, il cranio deformato come una pera. «Si sono accaniti su di me come bestie feroci. Mi hanno spaccato la testa». Salvo per miracolo. Come il collega Gaspard Lewndo, ridotto in condizioni simili nel 2017. Mesi di ospedale tra la vita e la morte. Ossa da rimettere assieme, pezzi di scatola cranica da rinsaldare. «Volevano darmi una lezione, ce l’hanno fatta», commenta il ragazzo mostrandomi l’enorme cicatrice nascosta dai capelli. «Ho capito che sarei stato pronto a morire per il mio lavoro, per i miei ideali. Da quel momento niente mi fa più paura». 

Foto di apertura: lo studio televisivo di Rtvgl durante il notiziario serale. Le trasmissioni sono spesso interrotte da blackout

Questo articolo è uscito sul numero 5/2021 della Rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

 

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