La Tanzania ha sete: ambiente e salute, due facce della stessa medaglia

di claudia

In Tanzania l’innalzamento delle temperature sta mettendo a repentaglio le già precarie forniture d’acqua del paese sia nelle maggiori città che nelle comunità rurali. L’acqua manca, e dove non manca è di qualità pessima. L’impegno di Anicet Theobald un giovane tanzaniano che insegna nelle scuole, per rendere le pratiche igieniche trasmissibili e sostenibili

di Lucrezia Ducci

La salute e l’ambiente sono strettamente collegati, “è inevitabile, l’ambiente ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno, dall’acqua al cibo. Dipendiamo dalle piante e dalla natura, perciò è imperativo comprendere quanto l’impatto che i cambiamenti subiti dall’ambiente influenzino la nostra salute e il nostro benessere”. A dirlo è Aloyce Urassa, medico e promotore di diverse iniziative per il clima e la salute globale attraverso le cariche che ricopre (Aloyce è Presidente del Consiglio consultivo dei giovani dell’African Leaders Malaria Alliance (ALMA), coordinatore nazionale di NextGeneration Global Health Security e World Youth Summit, e co-presidente del SADC Youth Forum nel comitato per l’ambiente e il cambiamento climatico).

L’acqua è vita. Ma quest’acqua nuoce.

In Tanzania l’innalzamento delle temperature sta mettendo a repentaglio le già precarie forniture d’acqua del paese sia nelle maggiori città che nelle comunità rurali. L’acqua manca, e dove non manca è di qualità pessima. Aloyce spiega che l’aumento delle temperature influisce sulla velocità di proliferazione dei batteri e sullo sviluppo dei patogeni, causando malattie legate all’insicurezza dell’acqua, tra cui colera, tifo, dissenteria ed epatite. Ciò avviene perché la siccità rende disponibile una quantità d’acqua minore ma con più elevata concentrazione batterica. Parallelamente, la portata sempre più ridotta dei corsi d’acqua porta al ristagno, condizione favorevole alla proliferazione di zanzare e alla propagazione di malattie trasmissibili per vettore, come la malaria. In Tanzania, il 93% della popolazione vive in area ad alto rischio di trasmissione. Alla mancanza di acqua si aggiunge il rischio di sviluppare infezioni: secondo dati WHO, solo il 24% della popolazione ha accesso a adeguati servizi igienico-sanitari.

Servizi igienici familiari nel villaggio di Msanga, a 80 km da Dar Es Salaam

“Qui la gente è costretta a bere acqua con cui non sarebbe opportuno neppure lavarsi le gambe. E quando la gente si ammala, spesso non può permettersi le cure.” Lo Stato offre un’assicurazione sanitaria (NHIF) il cui costo aumenta con l’anzianità: per i ragazzi tra i 18 e i 35 anni l’assicurazione base ha un prezzo di 192.000 TZS per anno, equivalente a uno o due stipendi mensili, ma non copre tutto e non tutti se la possono permettere.

Un uomo prima beve e poi si lava le gambe alla fonte d’acqua più vicina al suo villaggio, nei pressi di Maneromango

Alla luce di questo, è meglio prevenire che curare. Come? Educando. Aloyce sottolinea che l’esperienza della pandemia ha permesso al personale sanitario di misurare le capacità di apprendimento della popolazione:  “All’inizio della pandemia, quando il governo era attivo nel promuovere le pratiche igieniche, il numero di ospedalizzazioni legato alla scarsa igiene è diminuito di molto.” La chiave sta nell’educazione, che deve essere inclusiva: “Non possiamo educare le persone con le brochure, molte persone non sanno leggere, inoltre siamo un paese di giovani e giovanissimi; perciò, bisogna essere creativi nel comunicare questi concetti affinché arrivino.”

“Maisha na maji salama”: gli sforzi bottom-up danno speranza per “vita e acqua sicura”

Anicet Theobald è un giovane tanzaniano che nel 2020 ha fondato la Youth&WASH (Water And Santitation Hygene), per sostenere l’implementazione del 6º Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (Sustainable Development Goal – SDG).

In Africa, gli sforzi individuali e ‘Bottom-up’ hanno un valore esponenziale, soprattutto quando coinvolgono i giovani, che rappresentano la maggior parte della popolazione del continente: circa il 60% degli Africani ha un’età compresa tra 0 e 25 anni. Per questo Anicet insegna nelle scuole, per rendere le pratiche igieniche trasmissibili e sostenibili. Anicet mostra ai bambini come si trasmettono i germi sporcando loro le mani con la farina e dando via ai giochi per dimostrare che anche il bambino seduto al banco più lontano da quello inizialmente “contagiato” da Anicet avrà della farina sulle proprie mani alla fine dei giochi in gruppo.

“Quando l’acqua manca ed è sporca è importante saperla gestire al meglio così che non si debba dover scegliere tra il bere e lo svolgere pratiche igieniche. I bambini imparano a non sprecarla, a bollirla prima di berla, a filtrarla con i tessuti. Sono azioni quotidiane che salvano la vita”.

Anicet e i suoi compagni hanno capito che ci sono villaggi, come Msanga, in cui l’acqua è insufficiente anche se gestita al meglio. Per quanto le azioni di associazioni come la Youth&WASH siano di rilievo, i limiti di un approccio basato sugli sforzi della società civile emergono chiaramente: su un problema di così larga scala le soluzioni devono essere strutturali, altrimenti troppa gente viene lasciata indietro. Tuttavia, fa notare Careen Joel Mwakitalu, Rappresentante della Tanzania allo Youth4Climate pre-COP26 e responsabile comunicazione UNOPS, il governo indirizza i fondi e concentra le energie nei punti nevralgici del turismo e degli investimenti esteri. Di conseguenza, le zone costiere, già avvantaggiate dalla conformazione del territorio, dalla fertilità del terreno e dalla pescosità del mare, sono fortemente più sviluppate delle regioni dell’entroterra.

Tutte le fotografie © Lucrezia Ducci

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