La donna che veste il cinema africano

di Marco Trovato

Oumou Sy è una costumista senegalese di fama internazionale. A 13 anni era già una piccola imprenditrice che cuciva a mano scampoli di tessuto. Oggi continua ad inventare costumi di raffinata e stravagante bellezza per i film di noti cineasti africani. Le sue creazioni sono state esposte in numerosi musei dell’Europa e degli Stati Uniti

di Annamaria Gallone

Quando si parla di cinema, quasi sempre si parla di registi, ma un film è il risultato del lavoro di un’équipe che collabora per la riuscita dell’opera. Vorrei quindi parlarvi anche di ruoli diversi in questo ambito: oggi, in particolare, di una costumista senegalese, Oumou Sy, una donna di fama internazionale dal grande fascino e dalla creatività inesauribile, che lavora instancabilmente dedicandosi all’arte, allo spettacolo e allo spazio sociale.  Con lei, si perde la nozione del reale.

L’estrosità del suo design l’ha resa nota non solo in tutta l’Africa, ma a Parigi come a Montreal, a San Francisco come a Caracas, a Ginevra come a Milano. Assistere a una delle sue sfilate di moda ti porta in un mondo lontano: le sue creature portano copricapo da cui pendono piccole zucche o lucenti CD e sono adornate di piume conchiglie bacche liane seta raso vetro… Una “rivisitazione” dei più grandi stilisti europei con una creatività che non conosce limiti e un’ironia spesso trasgressiva.

Un inizio difficile

Oumou Sy è nata in un villaggio del Senegal, poverissima, e il padre che lei adorava, di religione islamica, non ha voluto che studiasse. Senza complessi lei dichiara di non sapere né leggere né scrivere, proprio lei che, tra le altre cose, è anche una pioniera di internet. Ha infatti voluto estendere la connettività oltre le élite e gli intellettuali di Dakar. “Volevo fare Internet a modo mio, per la gente che non è mai andata a scuola”, ha detto. “Avevamo un postino che consegnava le lettere alla gente in bicicletta. Le leggeva ad alta voce, prendeva le risposte della gente e poi tornava all’ufficio postale e le spediva”. Peccato che poi il suo Internet Cafè, battezzato “Metissakana” (che in lingua wolof significa: “la fusione sta avvenendo”) è stato costretto a chiudere perché non era in grado di pagare le bollette, ma la sua parlata in francese conferisce un’insolita intelligenza e autorità alla sua presenza e ai suoi progetti.

Ha fatto 5 figli che si è allevata da sola, ha rifiutato un matrimonio combinato a 9 anni, a 13 anni era già una piccola imprenditrice che cuciva a mano scampoli di tessuto fino a quando, dopo che la madre è riuscita a comprarle una macchina da cucire, ha cominciato a creare abiti di assoluta originalità.

È diventata una manager affermata che potrebbe guadagnare moltissimo, ma preferisce aiutare i registi africani che non hanno di che pagarla e le “sue” ragazze, quasi tutte cresciute nella miseria, alle quali insegna come affermarsi e qualificarsi professionalmente.

A Dakar la puoi incontrare al mercato, mentre cerca nuovi materiali per le sue creazioni, abbigliata con una stravaganza che non conosce limiti, in caschetto coloniale dorato o con un improbabile, irresistibile diadema di penne di struzzo…La gente la riconosce, l’applaude, la ferma per raccontarle i propri problemi, perché la sua generosità è nota. Lei ascolta, paziente, e cerca sempre di trovare una soluzione, attenta più agli altri che a sé stessa.

Verso il cinema

Poi torna nel suo atelier e crea. Il miracolo puntualmente si ripete e nascono abiti, acconciature, tuniche e mantelli di garza impalpabile o di pesante bogolan, fiorite di un’inesauribile immaginazione che fa ricorso a decorazioni tratte dalla flora locale o ispirate alla fantascienza… Lei, che non ha mai letto un libro, ricrea con naturalezza l’atmosfera di antiche epopee, capace di inventare un linguaggio universale.

Insegna all’École des Beaux Arts di Dakar, (in seguito anche a Ginevra e a Milano), la cui scena artistica sotto il presidente Léopold Sédar Senghor era molto fiorente, quando Sembène Ousmane, il primo regista senegalese, la mette in contatto con il regista tunisino Brahim Babai, dove svolge il suo primo lavoro di costumista nel suo film “La nuit de la décennie“. Un anno dopo, Dibril Diop Mambéty, il genio assoluto del cinema africano, l’assume per HYÈNES (Iene).  Il film è una critica feroce dell’ordine economico postcoloniale, realizzata in chiave onirica grazie ad una grandissima una libertà creativa: una ballata sarcastica e dolorosissima ispirata a La visita della vecchia signora di Dürrenmatt, un’invenzione di bellezza ineffabile e di fantasia imbizzarrita. E il regista trova in Sy la complice ideale.

A causa di improvvisi tagli al budget e di un programma di riprese stop-and-start, lei assume presto anche i compiti di trucco e parrucco. “Era una responsabilità enorme e non potevo deludere Djibril”, lei dice. “Bisognava avere una bella faccia tosta per gestirlo, ma non potevo rifiutargli nulla. Era davvero speciale. Volevamo africanizzare una storia svizzera, ma c’era anche uno stile da film western. Ho guardato western e film di gladiatori per ispirarmi, e poi per spostare le immagini più vicino all’Africa, ho guardato all’Egitto“.

Il successo internazionale

Djibril e Sy creano insieme immagini stupefacenti e indimenticabili. E da allora lei continua ad inventare per i film di noti cineasti africani costumi regali di raffinata bellezza.

Nel 2007 ha fatto parte del West African dream team, disegnando i costumi per la produzione dell’Opéra du Sahel’s di Bintou Were, del famoso musicista Wasis Diop, fratello di Djibril, per cui ha composto anche la musica di Hyiènes. I suoi costumi sono stati esposti in numerosi musei dell’Europa e degli Stati Uniti; hanno fatto parte della mostra, “Making Africa: A Continent of Contemporary Design” prodotta dal Guggenheim Museum Bilbao e dal Vitra Design Museum, e nella mostra del Smithsonian National Museum of African Art’s “Good as Gold”. I suoi disegni fanno parte della collezione permanente del Museum of Black Civilizations a Dakar.

Lei accetta tutti i riconoscimenti con grande modestia, sorride dolcemente e il suo commento è sempre: “Inshallah”. È stato detto giustamente che Oumou Sy è un simbolo dell’Africa di oggi, piena di fervore, sospesa tra passato e futuro.

L’autrice, Annamaria Gallone, tra le massime esperte di cinema africano, terrà a Milano l’8 e 9 maggio 2021 il seminario Schermi d’Africa dedicato alla cinematografia africana. Per il programma e le iscrizioni clicca qui

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