In Zambia pochi vaccini e poca voglia di vaccinarsi

di claudia

“Il problema principale è l’esitazione vaccinale. Molti, dopo la prima inoculazione e dopo essersi fatti influenzare dai diffusissimi falsi miti a riguardo, non si sono presentati agli appuntamenti per la seconda dose”. E’ testimonianza allarmante di Viviane Sakanga, responsabile dei progetti in Zambia di Amref Health Africa.

Il problema dell’esitazione vaccinale assume ancor più rilevanza dal momento in cui diviene comune tra gli operatori sanitari. “L’operatore sanitario dovrebbe fungere da faro, da guida, per il resto della comunità. L’esitazione di un membro del personale medico si rispecchia inevitabilmente in una popolazione che fa affidamento sul sistema”.

Viviane Sakanga, Responsabile dei progetti in Zambia di Amref Health Africa, racconta la lotta al COVID-19 del suo Paese, che sta faticosamente rifiorendo, dopo una devastante terza ondata. La scarsità dei vaccini e i relativi miti da sfatare rappresentano una grande preoccupazione.

Al 15 settembre, lo Zambia conta 208.049 casi di COVID-19 e 3.635 decessi legati al virus ed è l’ottavo Paese, in termini di numeri, del continente. Tuttavia, la situazione nel Paese sembra lentamente migliorare. “Il tasso di positività è oggi al 3%, in confronto al picco del 22% che abbiamo visto nel corso della terza ondata”, spiega Viviane. “L’obiettivo era quello di vaccinare il 10% della popolazione entro la fine del mese di settembre, ma al momento solo l’1,4% della popolazione è vaccinata (261.363 persone) con la prima dose, e lo 0,26% (309.993 persone) con la seconda”, continua. “Il problema principale è l’esitazione vaccinale. Molti, dopo la prima inoculazione e dopo essersi fatti influenzare dai diffusissimi falsi miti a riguardo, non si sono presentati agli appuntamenti per la seconda dose”.

Tuttavia, Amref Health Africa, nel corso del 2020 e nuovamente tra febbraio e agosto 2021, ha condotto degli studi che hanno prodotto dei risultati che lasciano ben sperare. Lo scorso anno, più della metà dei giovani coinvolti nella ricerca (65%) ha dichiarato di rifiutare il vaccino contro il COVID-19 a causa della mancanza di accesso a informazioni attendibili sull’efficacia e sulla sicurezza del vaccino. Il secondo studio, recentemente concluso e condotto su un campione demografico identico, a distanza di un anno, ha invece registrato una notevole riduzione dell’esitazione vaccinale: ad oggi, l’81% dei giovani accetterebbe il vaccino.

Viviane Sakanga, Responsabile dei progetti in Zambia di Amref Health Africa

Il divario tra i Paesi sviluppati e i Paesi meno sviluppati è un ulteriore fattore di forti preoccupazioni, nel continente africano. I Paesi più sviluppati hanno più facilmente accesso ai vaccini, e nella maggior parte dei casi, danno priorità alle proprie popolazioni”, conferma Viviane. Al 15 di settembre, è stata infatti vaccinata completamente il 30% della popolazione mondiale. L’Europa al 50,2%; gli Usa al 53,3%; l’Africa al 3,7%. Ai ritmi attuali, per raggiungere il 60% della popolazione, il continente impiegherà tre anni. “Ma il rischio che la pandemia globale non si arresti passa anche da una campagna di vaccinazione diffusa a livello globale per impedire la moltiplicazione delle varianti. Il fatto che ci sia un forte nazionalismo dei vaccini è un concetto semplice da capire, tuttavia, credo sia un momento storico in cui la priorità andrebbe data alla responsabilità morale e alla solidarietà globale. Abbiamo tutti diritto ai vaccini, e purtroppo il tempo stringe: non possiamo permetterci altre varianti, altri decessi, altre recessioni economiche…”.

Il COVID-19 ha influenzato enormemente la gestione di problematiche preesistenti. Risultano bassissimi i livelli di utilizzo di servizi sanitari essenziali, come per esempio quelli relativi alla salute sessuale e riproduttiva, o alla salute materno-infantile”. Si segnalano infatti difficoltà a procurarsi assorbenti igienici, pillole anticoncezionali o profilattici, e ad accedere a trattamenti per l’HIV/AIDS.

“L’aspetto economico ha creato diversi problemi, le persone ne hanno sofferto molto, soprattutto perché l’80% dell’economia di tutto il continente si basa su lavori informali, e moltissime persone vivono di sussistenza alla giornata. Questo ha dei risvolti negativi anche nell’ambito della nutrizione – o meglio, della malnutrizione”, continua Viviane. A confermare le dichiarazioni di Viviane una recente ricerca condotta, nel corso del 2021, da Amref. Solo nel 2020, 4,1 milioni di bambini avrebbero sofferto di grave malnutrizione. Secondo i risultati emersi dalla ricerca, a causa del COVID-19 e del conseguente aumento dei tassi di insicurezza alimentare, si stima che questo numero sia aumentato del 19% nell’anno successivo.

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