In Tanzania c’è una donna che lotta contro le mutilazioni femminili

di claudia

di Roberta Caramella

“Quando avevo undici anni, la mia amica Sabina morì per il troppo sangue perso durante la mutilazione della sua vagina. Il suo corpo fu abbandonato nella savana per essere mangiato dagli animali, poiché la tradizione insegna che il corpo di una ragazza morta a causa della circoncisione è maledetto e non deve essere seppellito”.

Inizia così la testimonianza di Rhobi Samwelly (foto di apertura), attivista tanzaniana che, dopo aver subito sulla sua pelle l’incubo dell’escissione della clitoride, nel 2017 ha fondato Hope for Girls and Women, associazione che lotta per eradicare le pratiche di mutilazione genitale femminile, puntando a sensibilizzare e istruire sulle conseguenze che queste pratiche comportano. Proteggendo le ragazze che scappano dalla barbarie. “Le salviamo prima che sia troppo tardi, ci attiviamo appena riceviamo segnalazioni e richieste di aiuto tramite un’apposita app per cellulari. Offriamo a tante giovani un rifugio in cui possono sentirsi al sicuro”.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) sono ancora oggi praticate in diversi Paesi africani, in maniera più o meno capillare, Definite dall’Oms come “tutte quelle procedure che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni non mediche”. La loro diffusione e persistenza ha a che fare con il contesto sociale in rapporto ad antiche tradizioni e consuetudini identitarie.

In Tanzania le mutilazioni sono vietate per legge, tuttavia tra le 120 etnie che costituiscono la popolazione, ce ne sono alcune che portano avanti la pratica delle mutilazioni, che le autorità non riescono a estirpare. In alcune comunità la circoncisione è considerata un rito che segna il passaggio alla vita adulta. In altre permangono motivazioni identitarie. Nella cultura Masai, per esempio, la mutilazione genitale femminile è motivata dalla necessità di definire nettamente il sesso biologico d’appartenenza della persona: si ritiene che la clitoride ricordi un pene. Da qui il bisogno di recidere ogni traccia di ambiguità sessuale.

Per le donne circoncise il rischio di morire a causa delle MGF è altissimo, non solo durante il rito, ma anche nel corso della vita, per esempio durante il parto. A decine di migliaia inoltre soffrono dolori lancinanti e infezioni pericolose provocate dai tagli.

Ragazze Datoga in divisa scolastica appena tornate da scuola (foto di Roberta Caramella)

La fondatrice di Hope for Girls and Women, Rhobi Samwelly, ha dedicato tutta la sua vita a un lavoro di sensibilizzazione sugli effetti delle FGM. L’associazione gestisce due case di accoglienza, entrambe nel nord della Tanzania, una a Mugumu e l’altra a Butiama. Le due case hanno alcune decine di ospiti fisse, di ogni età, ma durante la stagione della circoncisione (che coincide con le vacanze scolastiche) vengono accolte centinaia di giovani.

Rhobi Samwelly e la sua squadra spesso ricevono telefonate all’ultimo minuto, per salvare ragazze che saranno circoncise il giorno successivo, in villaggi remoti che i volontari riescono a localizzare grazie a un’app di mappatura sviluppata da un’altra associazione, Crowd2map.

Con il sostegno della polizia e del Social Welfare si parte per salvare le ragazze anche in piena notte, portandole nella casa di accoglienza più vicina, dove spesso arrivano con solo i vestiti che indossano.

Visita alla casa di Mugumu (foto di Roberta Caramella)

Dopo la stagione della circoncisione si lavora alla riconciliazione con le famiglie, che vengono istruite sui pericoli delle FGM, sul diritto delle figlie di non essere mutilate e di continuare la loro educazione, così come sulle conseguenze legali della violazione della legge.

La maggior parte dei genitori accetta di firmare un impegno a non mutilare la figlia che può tornare a casa. Talvolta le famiglie si rifiutano di farlo, o i volontari dubitano della loro buona fede. In questi casi le ragazze rimangono nella casa di accoglienza, vanno a scuola, proseguono gli studi anche oltre l’obbligo, o apprendono un mestiere per avviare una loro attività.

Ma per eradicare la tradizione Rhobi agisce anche sulle cutter, le anziane donne che hanno il compito di compiere il taglio: l’attivista tanzaniana è riuscita a convincere sei di loro a distruggere simbolicamente i loro strumenti e ad aiutare le ragazze a sottrarsi alla circoncisione, accompagnandole alla casa di accoglienza e fornendo formazione anti-MGF alle loro comunità. Tutto questo paziente lavoro dà i suoi frutti. L’atteggiamento di molte persone è cambiato e la tradizione della circoncisione femminile sta scomparendo in molti villaggi.

L’associazione Hope for Girls and Women è sostenuta dal Tour Operator italo-tanzaniano Tanzania Emotion Safaris. Scegliendo un safari con questo operatore turistico si supporta il lavoro dell’associazione che opera quotidianamente in Tanzania nella lotta alle mutilazioni genitali femminili.
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