Il legame tra cambiamenti climatici e crisi alimentari

di claudia

C’è un collegamento, una linea rossa che unisce elementi destabilizzanti e violenti come cambiamenti climatici, crisi e conflitti scatenati dall’uomo, a questioni urgenti come sicurezza alimentare e sviluppo sociale. Non ha dubbi su questo Bettina Prato del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), in un’intervista a Oltremare, il magazine online dell’agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics).

Per Bettina Prato – che all’Ifad occupa il ruolo di Lead Policy and Technical Advisor to the Associate Vice President o, più semplicemente, principale consigliera politica di Donal Brown, Vice Presidente Associato del dipartimento che gestisce tutti i programmi di Ifad sul terreno – la parola chiave è “interconnessione”, non soltanto tra questi eventi e fenomeni, ma anche tra questi e il percorso di avanzamento sociale, soprattutto guardando a categorie generalmente pensate come più vulnerabili, ma in realtá spesso motore di cambiamento e capaci di grande imprenditorialità, come donne e giovani rurali.

Sono, quindi, situazioni collegate direttamente tra loro da molteplici link.

“Nel mondo in cui viviamo è normale ragionare sull’interconnessione tra i Paesi, tra le economie, anche tra queste problematiche. E, in particolare, è importante vedere la complessità di queste connessioni nelle questioni relative allo sviluppo sostenibile”.

Dalle crisi scatenate dall’uomo ai cambiamenti climatici.

“I cambiamenti climatici, naturalmente, interessano sia le zone rurali che le zone urbane, ma poiché la maggior parte delle popolazioni che vivono nelle zone rurali dei Paesi in via di sviluppo dipende dall’agricoltura e ha quindi un diretto legame con l’ambiente e con le risorse naturali, l’impatto dei cambiamenti climatici sia in termini di eventi estremi sia in termini di qualità del suolo e disponibilità di acqua è rilevante. Da qui l’importanza dell’adattamento ai cambiamenti climatici come sfida veramente prioritaria per le comunità rurali e per l’agroalimentare in generale. C’è di fatto una possibilità di contribuire in maniera anche significativa a quello che si chiama Climate Change Mitigation, per esempio con la riduzione dei gas serra. Tramite il lavoro sulla gestione delle risorse naturali, le comunità rurali hanno il doppio ruolo di poter ridurre gli effetti che diverse attività hanno sui cambiamenti climatici ma anche quello di essere soggetti in prima linea nella difesa a livello sociale dalle conseguenze indotte dalle alterazioni climatiche”.

In tutto questo, le comunità rurali stanno cambiando.

“Innanzitutto abbiamo un cambiamento demografico nella composizione delle società rurali. Lo vediamo nel continente africano ma anche in altri continenti: chi coltiva la terra è sempre più anziano. C’è disinteresse rispetto all’agricoltura e si assiste a un esodo dalle campagne. Allo stesso tempo abbiamo però una popolazione rurale sempre più giovane, per cui sono i giovani che si trovano a dover essere in prima linea nella trasformazione delle zone rurali, nella trasformazione dell’agricoltura e anche nell’adattamento ai cambiamenti climatici. E in questo contesto le donne e i giovani hanno meno disponibilità di terra, meno controllo sulle risorse produttive, meno accesso alle risorse anche finanziarie e quindi si trovano ad essere meno agevolati nell’esercizio di questa funzione di protagonisti nell’adattamento e nella resilienza”.

Eppure donne e giovani potrebbero essere quelli con più energie a disposizione.

“E lo sono. All’Ifad ho un passato di lavoro sulle piccole e medie imprese e sull’accesso alla finanza. Una cosa che mi ha molto colpito negli anni è stata proprio quella di vedere tanti giovani imprenditori africani e tante giovani donne imprenditrici con idee trasformate in realtà economiche sull’economia verde e sulle risorse energetiche sostenibili, realizzate con una cura particolare dell’ambiente. Ho incontrato molti giovani con un’istruzione legata al business e alla finanza tornare nelle zone rurali per diventare imprenditori. Un fermento e un segnale di una realtà molto dinamica e veramente affascinante”.

Quindi c’è sensibilità e c’è anche intraprendenza.

“I giovani sono i maggiori portatori di queste capacità e sicuramente l’accesso alle tecnologie anche per la comunicazione consentono di relazionarsi con esperienze di altri contesti e, contemporaneamente, di avvicinarli ai mercati in maniera non tradizionale e più funzionale”.

Immagino che ci sia anche bisogno di una maggiore inclusione finanziaria, che può essere aiutata dalle nuove tecnologie.

“Qualche tempo fa mi trovavo in Kenya e cercavo di pagare in contanti in un negozio. E tutti mi guardavano chiedendosi perché mai non pagassi usando una app del telefonino. Una piccola storia personale per dire che l’inclusione finanziaria è veramente una porta d’ingresso per molte altre cose e l’utilizzo di telefonini, internet, piattaforme blockchain stanno prendendo piede anche nell’agricoltura e negli spazi rurali, semplificando le problematiche legate alle strutture finanziarie tradizionali e consentendo un accesso al credito e al microcredito lì dove era impossibile fino a poco tempo fa. Insomma, anche in questo modo si rafforza la resilienza di fronte agli effetti molteplici di crisi e cambiamenti climatici”.

Ci sono delle grandi tendenze in atto, in particolare in Africa: un incremento demografico mai sperimentato dall’umanità, una rapida urbanizzazione. Insomma, l’Africa è un continente che sta già cambiando volto. Come possiamo leggere queste grandi sfide?

“Non abbiamo altre opzioni che vedere tutto quello che accade come un’opportunità perché la prospettiva deve essere quella di costruire un futuro che sia migliore del presente. E deve essere un futuro inclusivo in un contesto che consenta di superare le linee di esclusione esistenti. Linee che spesso sono di genere e basate sull’età. C’è bisogno quindi di una maggiore inclusione nei processi decisionali di giovani e donne. E questo è vero nei Paesi in via di sviluppo come in Italia o in altri Paesi”.

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