Gabon, missione: salvare i mandrilli

di Enrico Casale
mandrillo

La negoziazione è fallita. Nell’auto che parte, i volti sono scuri. All’improvviso appare un uomo e si lascia andare: «Va bene. Vieni a prendere le tue scimmie». Il proprietario di due piccoli mandrilli ha ceduto, l’associazione Save Gabon’s Primates partirà con i due orfani.

In Gabon, piccolo Paese dell’Africa centrale ricoperto quasi interamente da foresta equatoriale, il mandrillo è una specie protetta, come il gorilla e lo scimpanzé. Per legge è vietato cacciarlo, catturarlo, venderlo o detenerlo. Tuttavia, la sua carne è ancora ricercata e molte famiglie ne fanno i loro animali domestici.

Aumentare la consapevolezza, ascoltare, persuadere: Thierry Tsoumbou, un veterinario di 34 anni, capo del progetto di riabilitazione di Save Gabon’s Primates, è diventato un esperto delle trattative. A Moanda, 700 chilometri a Est della capitale Libreville, siede nella casa del proprietario dei due mandrilli. Una decina di uomini li circondano, sospettosi e nervosi. «Sono venuto a prendere gli animali perché dal 2003 la legge vieta di tenerli in casa. Altrimenti le autorità verranno a prenderli con la forza e tu sarai ritenuto responsabile», spiega al proprietario. Prima di iniziare una trattativa che si preannuncia difficile e serrata.

«Quanto ci dai?», esordisce il proprietario. «Non diamo soldi. È per il tuo bene e per il bene dell’animale», è la risposta. Ma il proprietario: «Se non vuoi comprarlo, preferiamo rilasciarlo nella foresta». Il veterinario non molla: «Non sono più abituati alla foresta. Se li rilasci, moriranno. E questi animali possono portare malattie gravi. Ti ricordi l’ebola? La malattia è stata trasmessa all’uomo dalle scimmie. E più crescono, più diventeranno aggressivi e incontrollabili».

L’atmosfera è tesa. La moglie piange, sentendo che Lucien e Lucienne, come ha chiamato le due femmine di mandrillo, le saranno presto sottratte. Nel frattempo, i due animali corrono nel loro parco giochi: un parcheggio dove giacciono rottami di camion. Gli adolescenti li inseguono, li prendono in braccio, li mettono sulle spalle.

«È anche e soprattutto per il loro bene – riprende Tsoumbou -: non sono animali domestici. Hanno bisogno di vivere in gruppo nella foresta». «O ci paghi o te ne vai!», dice seccato il proprietario.

Solo il ministero dell’Acqua e delle foreste può sequestrare animali. Tsoumbou, anche se è un veterinario, non può farlo. Il reato è punibile con la reclusione di diversi mesi e una multa fino a 10 milioni di FCFA (15.500 euro).

Le sanzioni vengono applicate molto raramente, ma le minacce sono generalmente sufficienti per convincere i proprietari. All’ultimo momento, il proprietario cambia idea. Le scimmie vengono portate al Centre de Primatologie (Cdp) del Centre de recherche interdisciplinaire de Franceville, a circa 60 chilometri di distanza. Qui inizia quindi il loro lungo viaggio verso un ipotetico ritorno allo stato selvatico.

Una quarantena permette anzitutto di determinare se sono portatori o meno di malattie (ebola, epatite, tubercolosi, ecc.). Quindi i due esemplari saranno accompagnati in un percorso che li aiuterà a imparare i comportamenti della loro specie.

Dimitri Mboulou, responsabile del centro dei piccoli mandrilli, passa amorevolmente la bottiglia a due piccoli scimpanzé, la cui madre è stata uccisa dai cacciatori. «Insegno loro a ritornare alla vita, come se fossi un po’ la loro madre», spiega.

Dopo la prima fase di isolamento, i piccoli si uniscono ai loro simili e scoprono le relazioni sociali che cementano il loro nuovo gruppo. Un passaggio essenziale per la sopravvivenza in natura.

Il Cdp ospita 350 scimmie di nove specie diverse. Orfani sopravvissuti al bracconaggio, primati salvati dal traffico di animali o ex cavie da laboratorio. «Ogni anno, più di 50 vengono ospitati da noi e questa è solo la punta dell’iceberg – afferma Barthélémy Ngoubangoye, presidente dell’associazione e capo del Cdp -. I loro antenati hanno sempre cacciato, la gente ritiene che non ci sia niente di sbagliato e che la conservazione di queste specie in via di estinzione sia un problema per gli occidentali».

In questo santuario, molto vicino a Franceville, si svolge l’ultima fase di riabilitazione: un regime di semi-libertà in cui gli animali vengono seguiti fino alla loro eventuale reintroduzione nel loro ambiente naturale.

«Abbiamo bisogno di un gruppo vitale, senza animali malati, in un’area che possa essere monitorata, senza bracconieri, senza altri gruppi di scimpanzé, senza umani nelle vicinanze», elenca la signora Grentzinger.

Una scommessa molto difficile.

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