E in Nigeria rispunta la questione Biafra

di Enrico Casale
Biafra

BiafraIl 19 ottobre Nnamdi Kanu, cittadino britannico, è stato arrestato dai servizi segreti nigeriani nei pressi di Lagos. Direttore di Radio Biafra e Presidente dell’Indigenous people of Biafra (Ipob), Kanu è stato accusato di alto tradimento, possesso illegale di armi da fuoco e altri reati legati alla sua battaglia, attraverso la radio «pirata», per la secessione della Repubblica del Biafra dalla Nigeria.

Parallelamente ai controversi processi, in tutto il Sud-Est del Paese, così come ad Abuja e Lagos, si sono svolte decine di manifestazioni per chiedere la liberazione dell’attivista. La polizia e l’esercito hanno placato molte di queste proteste col sangue: secondo l’Ipob sono oltre mille gli attivisti uccisi da quando Kanu è stato arrestato. Del resto il rapporto 2015-16 di Amnesty International denuncia apertamente l’uso regolare della tortura da parte della polizia e dell’esercito, così come sono frequenti i casi di “esecuzione extragiudiziale, estorsione, detenzione arbitraria e prolungata”.

Il 29 gennaio guerriglieri per l’indipendenza del Delta del Niger hanno sequestrato il personale internazionale di una nave greca, minacciando di farla esplodere qualora Kanu non fosse stato liberato entro 31 giorni (successivamente l’equipaggio è stato liberato).
Nonostante questa simpatia palesata dei signori del Delta per Nnamdi Kanu, l’Ipob non appoggia la lotta per la gestione del petrolio perpetuata dai guerriglieri reputandola concettualmente sbagliata: la base della rivolta dovrebbe essere l’autodeterminazione del Biafra e non il controllo delle risorse. La situazione del Sud-Est del Nigeria e dei rapporti tra identitari del Biafra e indipendentisti del Delta si intreccia con una generalizzata insoddisfazione dei cittadini cristiani verso la politica interna del Presidente Muhammadu Buhari (di fede islamica). Come se non bastasse la grana Boko Haram, sulla quale la propaganda sembra essere più forte dell’effettiva controffensiva militare.

Una copertina di Life sulla guerra del Biafra negli anni SessantaMa perché, a distanza di oltre 45 anni dalla fine della sanguinaria guerra civile nigeriana, si torna a parlare di Biafra indipendente? Per circa 29 anni le lotte per l’indipendenza del Biafra sembravano sepolte. La popolazione igbo, la terza più grande della Nigeria dopo gli hausa e gli yoruba, subiva un costante processo di marginalizzazione dalla vita economica, sociale, militare e politica del Paese in un contesto in cui il processo di riappacificazione non è mai veramente decollato. Nel 1999 Ralph Uwazuruike, un avvocato istruito in India e cresciuto nel mito di Martin Luther King e Ghandi, promosse insieme al neonato Movimento per l’attualizzazione dello Stato sovrano del Biafra (Massob) un piano in 25 passi per ottenere l’indipendenza attraverso la non violenza. Da allora gli attivisti iniziarono ad accusare apertamente il Governo federale di arrestare e torturare i manifestanti che non riconoscevano l’autorità centrale e nel 2008 diffusero una lista di 2020 persone affiliate all’organizzazione che sarebbero state uccise dagli agenti di sicurezza.

la bandiera del biafraIntanto dal Massob, sempre più diviso da lotte intestine e accuse reciproche tra i capi, si formano due nuovi gruppi: il Biafra Zionist Movement e l’Ipob fondato, per l’appunto, da Kanu (fino ad allora rappresentante a Londra per il Massob).
Sebbene Clifford Iroanya, coordinatore mondiale dell’Ipob (che ha una forte presa nelle seconde generazioni della diaspora in Europa e Nord America), affermi che la possibilità di una nuova guerra civile non sia reale in quanto il movimento intende ottenere l’indipendenza attraverso un referendum monitorato da Nazioni Unite e Unione Europea, molte analogie con il clima che portò nella fine degli anni Sessanta alla ben nota mattanza stanno emergendo come un terribile déjà vu. Nel 1966 decine di migliaia di igbo furono sterminati e milioni furono costretti a fuggire a causa di pogrom nel Nord del Paese, a maggioranza hausa. Nel frattempo, la divisione amministrativa dell’Est in tre amministrazioni separate indebolì notevolmente il coinvolgimento degli igbo nella gestione delle estrazioni del petrolio. Ad oggi la ripartizione amministrativa del Paese continua a essere vista come parte di una strategia del dividi et impera.

una vecchia sterlina del biafraLa «guerra fredda» tra Gran Bretagna e Francia ebbe un ruolo fondamentale nell’andamento del conflitto (in cui, si stima, persero la vita da uno a tre milioni di persone). Se i primi avevano rapporti fortissimi con Lagos grazie alle sue convenientissime policies di estrazione di greggio per Shell e British Petroleum, i secondi influenzarono le strategie della Costa d’Avorio in nome della geopolitica della Francafrique e mandarono armi e mercenari nella neonata repubblica. In un clima già teso dalle posizioni divergenti sulla lotta all’Unione Sovietica, Francia e Regno Unito furono capofila di due corpose coalizioni internazionali, in una guerra fratricida che si combatté anche sul piano della propaganda e delle campagne umanitarie.

Oggi, a 45 anni di distanza, Londra si guarda bene dall’entrare a gamba tesa sugli affari interni della Nigeria, nonostante Kanu sia un cittadino britannico. Chi non ha mai smesso di supportare il Biafra è Israele, che nei confronti degli indipendentisti ha lo stesso approccio che l’ha contraddistinta nelle relazioni con il Kurdistan iracheno e nel supporto diplomatico alla secessione del Sud Sudan. Non stupisce quindi che una cospicua parte della narrazione dell’identità biafrana sia legata alle non dimostrabili radici giudaiche degli igbo e che la Stella di David sia uno dei simboli più utilizzati durante le manifestazioni. Intanto a Enugu, Aba, Onitsha e in altre città si continua a morire in nome della bandiera nero verde e rossa del Biafra, in attesa di un referendum (per ora lontano) che potrebbe davvero far capire se gli abitanti del Sud-Est della Nigeria, a prescindere dall’etnia, vogliono la secessione.

Joshua Evangelista

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